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La Ue fa triangolo: droni ai russi tramite paesi terzi

La Ue fa triangolo: droni ai russi tramite paesi terziMunizioni per carri armati – Ap

Europa/Russia La rivelazione: materiali che si trasformano in armi arrivano a Mosca da Kazakistan, Georgia, Armenia. La Germania guida il commercio ombra. In alcuni settori Berlino ha incrementato l’export del 70mila per cento: tutti prodotti «dual use»

Pubblicato più di un anno faEdizione del 20 giugno 2023

Tecnicamente il trucco è lo stesso del petrolio russo «travestito» da indiano che approda ripulito nei terminal di mezza Europa. Questa volta però la triangolazione occulta investe direttamente il fronte della guerra in Ucraina e riaccende i riflettori sul paese europeo più esposto verso Kiev (finanziariamente e sotto il profilo militare), già ampiamente sospettato di intendenza con il nemico Putin.

DEFLAGRA sulla Welt Am Sonntag, l’inserto domenicale del quotidiano di riferimento dei conservatori, l’analisi di Erlend Bollman Bjørtvedt, esperto della società di consulenza norvegese Corisk, con tutti i dati doganali in grado di svelare chi aggira l’embargo alla Russia nonostante lo adotti ufficialmente.

Un vero e proprio «commercio ombra» con i cosiddetti «Stati non ostili» guidato dalla Germania: da sola ha movimentato un quarto delle merci che tra marzo e dicembre 2022 hanno cambiato velocemente bandiera mantenendo identiche sia l’origine che la destinazione finale.

Facendo registrare numeri stratosferici incredibili a leggersi se non fossero certificati da bolle e timbri delle autorità doganali dei principali porti e aeroporti internazionali. «Alcune aziende hanno aumentato le vendite verso Stati come il Kazakistan o l’Armenia del mille, diecimila, addirittura il 70mila per cento da quando la Russia ha invaso l’Ucraina. Impossibile ignorare una dinamica del genere», riassume Bjørtvedt.

Specialmente quando il prodotto made in Germany corrisponde, per esempio, al componente imprescindibile per costruire droni o l’altro materiale «Dual-Use» civile e militare attualmente utilizzato sul fronte ucraino. Tanto più se la Repubblica federale è esattamente il paese che fornisce i Leopard-2 all’esercito di Kiev: gli stessi tank presi di mira dai droni iraniani ma anche da sistemi guidati funzionanti grazie all’apporto della tecnologia occidentale.

Non sono più solamente i microchip prodotti nelle silicon-valley dell’ovest che Putin ha immagazzinato ben prima dell’invasione (nessun sa davvero in che numero), bensì «giocattoli» nati per l’hobbistica trasformabili in armi letali in poco tempo e con spesa irrisoria.

NON A CASO Bjørtvedt prende a campione il business mimetico del marchio cinese «Dji»: «Vende oggetti che per meno di mille euro si levano in aria filmando tutto ciò che c’è sotto. In Europa vanno forte tra gli influencer e i registi amatoriali. I russi, invece, li usano per spiare il territorio ucraino alla ricerca di obiettivi militari da colpire con l’artiglieria».

Dettaglio noto anche a Berlino. Dopo lo “scoppio” dell’analisi della società norvegese il ministero tedesco della Tecnologia ha prontamente fatto sapere: «Il governo Scholz prenderà provvedimenti per impedire l’inaccettabile elusione delle sanzioni da parte delle imprese nazionali».

Tradotto vuol dire che in ballo ci sarà pure la marea di soldi per le aziende incamerata in modo sicuro, efficace e formalmente legale. Ma anche la volontà del cancelliere Spd di non soffiare sul fuoco che ha già bruciato l’economia tedesca ed eroso oltremodo consenso al suo governo.

«LA NATO non diventerà parte del conflitto in Ucraina», ha ribadito ieri a Berlino – per l’ennesima volta – Olaf Scholz riunito in conferenza stampa con il segretario Nato, Jens Stoltenberg. Riassicurazione diretta anzitutto ai tedeschi che non smettono di segnalare il malessere per gli effetti della guerra. In termini di voti si traduce nel boom di Afd: a suon di slogan come «pane e gas a basso prezzo» ormai l’ultradestra ha superato i Verdi nei sondaggi.

Resta comunque il dilemma-chiave per il cancelliere Spd: la linea dura imposta dalle alleanze Ue e Nato per la Germania paga sempre meno ma neppure funziona lo scambio «sottobanco» con Mosca. Insomma, non basta più far transitare le merci attraverso Armenia, Georgia, Uzbekistan Kazakistan, Tagikistan o Kirghizistan. «Dall’inizio dell’invasione russa le aziende tedesche hanno venduto a questi Stati beni per oltre due miliardi di euro, per grave negligenza o intenzionalmente», sottolinea Bjørtvedt.

Del resto, Bruxelles impedisce il commercio diretto con Russia e Bielorussia mica gli scambi con i suoi principali intermediari. La differenza passa per un’etichetta…

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