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La Ue fa la prima della classe ma perde lo slancio

La Ue fa la prima della classe ma perde lo slancioUrsula Von Der Leyen

Arabia esaudita Molti i leader presenti, guida la delegazione Ursula Von Der Leyen. Agricoltura quasi impermeabile alla svolta climatica. E le urne minacciano brutte sorprese

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 30 novembre 2023

Gli europei arrivano numerosi oggi a Dubai, con molti leader dei paesi membri presenti, per l’apertura della Cop28 che deve fare un bilancio dell’applicazione degli Accordi di Parigi della Cop21 del 2015. La delegazione Ue è guidata dai presidenti di Commissione e Consiglio (Ursula von der Leyen e Charles Michel), che hanno un ruolo centrale poiché dall’Atto unico del 1986 la politica ambientale è “condivisa” tra Ue e stati membri. La Ue si presenta come la prima della classe con il Green Deal approvato nel 2019: sulla carta il 30% del bilancio totale della Ue (356 miliardi su 1.074 per il periodo 2021-27) è destinato alla difesa dell’ambiente e alla lotta al cambiamento climatico, cifra a cui si aggiunge il 37% del Piano di rilancio di 750 miliardi (ma la Corte dei Conti della Ue ha rilevato che Bruxelles ha sovrastimato il budget per l’ambiente nel 2014-2020, che è stato del 13% sul totale invece del 20% promesso).

Nell’ultimo anno la Ue ha adottato una ventina di misure a difesa dell’ambiente, dagli obiettivi di RePowerEu al Net Zero, dalla fine dell’auto termica nel 2035 alla carbon tax alle frontiere, norme contro la deforestazione, una riforma del sistema di scambio Ets sulle emissioni di Co2, l’accelerazione delle energie rinnovabili, il lancio dell’idrogeno “verde”, le norme anti-green washing e altre ancora. Ma dietro questa facciata del migliore dei mondi possibile, la realtà è meno splendente. E non solo perché l’agricoltura resta quasi impermeabile alla svolta climatica e al piano ecologico (come si è visto sul glifosato, confermato per altri 10 anni, e sull’impossibile riduzione dei pesticidi).

A metà ottobre, i 27 ministri dell’Ambiente hanno approvato un mandato che la delegazione Ue deve rispettare a Dubai, appiattito sul minimo comun denominatore dell’obiettivo di Fit for 55, cioè l’impegno a diminuire le emissioni a effetto serra del 55% entro il 2030 (sui valori del 1990) con l’orizzonte della neutralità carbonica per il 2050, un programma varato nel 2021 che la Ue spera di mettere in atto prima delle elezioni europee del prossimo giugno, che minacciano brutte sorprese, con l’avanzata delle destre estreme scettiche e insofferenti sulle leggi climatiche. Il “padre” del Green Deal, Frans Timmermans, ormai non fa più parte della Commissione (è stato candidato in Olanda) ed è sostituito da Wopke Hoekstra, un commissario molto meno impegnato, per di più affiancato dal “supervisore” del Patto verde, lo slovacco Maros Sefcovic, molto vicino al populista Robert Fico. «Siamo tutti d’accordo nel dire che ci siamo ancora» ammette l’ambasciatore francese per il clima, Stéphane Crouzat.

L’elefante nella stanza dei negoziati della Cop28 è l’uscita dalle energie fossili, che tutti gli studi – anche della Ue – dicono indispensabile per limitare il riscaldamento climatico intorno a 1,5-2 gradi, impegno dell’Accordo di Parigi. Ungheria, Polonia e Italia hanno frenato per evitare scelte troppo onerose: così la Ue non difenderà a Dubai l’abbandono senza condizioni dai combustibili fossili (proposta di una decina di paesi, tra cui Francia e Germania) e si limita a promettere di uscire «il più presto possibile» (cioè indicare una data) dai finanziamenti a carbone, petrolio e gas, mentre inchieste sulle banche rivelano investimenti sempre in crescita in questi settori.

Inoltre, con la recente svolta dei Grünen tedeschi, la Ue si è ormai completamente allineata sulla teoria della soluzione tecnologica, con ricorso a captazione e stoccaggio del Co2, quando possibile. I paesi terzi attaccano la carbon tax europea, equiparata a una misura di protezionismo. La Ue intende usare le entrare della carbon tax per finanziare la propria politica climatica, ma i paesi terzi che si sentono penalizzati spingono per una ripartizione dei proventi (6 miliardi l’anno dal 2028, la tassa sarà limitata a acciaio, cemento alluminio, fertilizzanti, poi una crescita esponenziale con l’estensione agli altri settori). Altra polemica: gli Usa hanno imposto che il risarcimento di 100 miliardi di dollari l’anno per «perdite e danni» ai paesi che subiscono il cambiamento climatico (ma non lo hanno causato) sia su base «volontaria».

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