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La Tunisia è disperata, ma «Rzouga non si è ucciso»

La Tunisia è disperata, ma «Rzouga non si è ucciso»24 dicembre 2018: la polizia arriva sul luogo della tragedia quando è ormai troppo tardi – Afp

La storia Parlano i familiari e i colleghi del reporter che si sarebbe dato fuoco per protesta in dicembre. Una vicenda in cui l’unica certezza è il deserto sociale da cui i giovani fuggono. Per andare in Europa o sui campi di battaglia dell'Isis. Reportage da Kasserine

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 14 marzo 2019
Pierfrancesco CurziKASSERINE (Tunisia)

La scena è concitata. Un gruppo di persone fa capannello attorno ad un uomo sul ciglio della strada, poi, all’improvviso, un bagliore e le fiamme avvolgono la sagoma del malcapitato. La follia dura pochi secondi. La parte superiore del corpo, busto e capo, ormai resi indefiniti dal giallo e dal rosso del fuoco.

L’UOMO INIZIA A CORRERE all’impazzata verso il cuore della piazza centrale di Kasserine, centro di 110mila abitanti a sud-ovest di Tunisi, una manciata di chilometri dal confine algerino. La folla radunata urla, disperata, e chiede aiuto mentre la torcia umana cade a terra. I tentativi di spegnere le fiamme sono istintivi, goffi e quando producono effetti è ormai troppo tardi. Soccorso e portato nel derelitto ospedale della città prima e quindi trasferito nel centro all’avanguardia di Ben Arous, presso Tunisi, morirà poche ore dopo a seguito delle ustioni riportate.

 

Abderrazak Zorgui, detto “Rzouga”, al lavoro con la sua telecamera

 

QUELL’UOMO ERA Abderrazak Zorgui, giornalista e cameraman di TelvzaTv, un canale privato tunisino molto noto nel Paese. Aveva 29 anni e il gesto risale al 24 dicembre scorso. Per l’intera opinione pubblica e per gli organi di stampa internazionali, quello di Abderrazak Zorgui è passato ai posteri come un martirio, il gesto disperato di un uomo che non aveva più nulla da chiedere alla vita e ha voluto inviare un messaggio di protesta ai suoi governanti.

Poco prima delle fiamme Zorgui ha registrato e postato un video su Facebook in cui incitava i giovani tunisini alla rivolta esattamente otto anni dopo lo scoppio della «Rivoluzione dei Gelsomini» che nel giro di un mese portò alla caduta e alla fuga del presidente-dittatore Zine el-Abidine Ben Alì. Alla fine del messaggio si vede Zorgui con una bottiglia di benzina in mano e si definiscono sagome e ombre di altre persone attorno.

DALLA FINE DI QUEL VIDEO all’orrore di una figura avvolta dalle fiamme c’è il vuoto ed è lì che si inseriscono i dubbi sulla dinamica dell’episodio: «Mio fratello non si sarebbe mai ucciso, qualcuno lo ha voluto morto per evocare quanto accaduto otto anni fa a Mohamed Bouazizi. Rzouga (il soprannome di Zorgui, ndr) è stato ucciso». Najlaà è la sorella maggiore di Abderrazak Zorgui. Da quel giorno chiede sia fatta giustizia. Soprattutto non vuole che suo fratello passi da suicida: «Non aveva motivo di togliersi la vita e non l’avrebbe mai fatto, per noi, per i suoi due figli e per nostra madre Nawara, malata e inconsolabile. È stato sfruttato da qualcuno per lanciare il messaggio di protesta. Tutti lo amavano a Kasserine e nessuno lo ha salvato quel giorno».

 

 

Il riferimento a Mohamed Bouazizi non è casuale. Proprio l’ambulante di Sidi Bouzid, altra città “difficile” nel cuore della Tunisia, è morto allo stesso modo. Il suo martirio contribuì alla detonazione della rivolta e al passaggio democratico del Paese, mai completamente riuscito. Bahadreddine, il fratello di tre anni più grande (l’altro, Mohamed Alì, è il maggiore della famiglia, oltre alla sorella più piccola, Haifa), ci accompagna sul luogo della tragedia.

Non è un caso o una coincidenza che l’episodio, come per Bouazizi a Sidi Bouzid, si sia consumato in Piazza dei Martiri: «Quale martirio, Rzouga è stato ammazzato e i responsabili pagheranno. Chi ha visto parli – attacca Bahadreddine Zorgui girando su se stesso e indicando alcuni locali affacciati sulla piazza e i tanti giovani che, senza nulla da fare, bighellonano tutto il giorno bevendo tè e chiacchierando -. Le fiamme sono partite dalla schiena, come ha fatto Rzouga ha buttarsi la benzina lì e appiccare il fuoco? Lo hanno usato per lanciare il messaggio politico e poi gli hanno dato fuoco».

IL SOSPETTO DI BAHADREDDINE non è campato in aria e si basa anche sulle indagini della polizia locale. Due giovani si trovano attualmente in carcere per quell’episodio, uno addirittura ha 18 anni e vive a Citè Zouhour, un quartiere della città a due passi dal centro di Kasserine.

Sulla storia di Zorgui sono usciti tanti dettagli, la maggior parte falsi. Tra questi il fatto che fosse disoccupato: «Abdrerrazak lavorava per la nostra televisione da oltre un anno ed era stato regolarmente assunto – precisa Latif Zouhir, storico giornalista tunisino e direttore di TelvzaTv, un canale privato che fa delle inchieste il suo punto di forza -. Metteva entusiasmo nel suo lavoro ed era il punto di riferimento per la zona di Kasserine. Qualcuno ha sostenuto che non prendesse lo stipendio da mesi: è falso e lo posso provare. In tanti stanno cercando di gettare fango su di lui, anche da morto. Quando la verità verrà fuori dovranno tutti chiedere scusa».

 

Kasserine, piazza dei Martiri: il fratello Bahadreddine indica il luogo in cui Rzouga ha trovato la morte (foto di Pierfrancesco Curzi) Sotto, 24 dic

 

Kasserine è stato uno dei centri propulsivi della rivoluzione del 2011. Come nel caso del nostro meridione, il governo centrale ha sempre dimenticato, e continua a farlo nella presunta fase “democratica”, le zone rurali e montuose del Paese.

PASSARE DA TUNISI A KASSERINE sembra di tornare indietro di un secolo. Il cosiddetto welfare qui non è mai arrivato. Disoccupazione a tassi spaventosi, l’unico ospedale in pessime condizioni, servizi sociali inesistenti. Musica per le orecchie delle organizzazioni criminali, anticipate da tumulti e sanguinose manifestazioni in strada: «Il cambiamento, dopo il 2011, non c’è mai stato. La gente del posto sperava in una ricompensa dopo i sacrifici e il sangue versato durante la rivoluzione, invece le cose sono messe peggio di allora. Il popolo è stanco, arrabbiato». Hermassine Lotfy conduce una trasmissione radiofonica nazionale e collabora con il giornale locale. A Kasserine c’è nato e ci vive: «Il clima freddo e duro ha plasmato la gente di montagna, la sua psicologia, sempre in rivolta contro i governanti. È facile trovare sacche di disperazione per alimentare banditismo e terrorismo, mentre tanti sono partiti e continuano a partire con le barche verso il vostro Paese».

GLI ATTACCHI TERRORISTICI si susseguono con una certa periodicità. Chi negli anni scorsi non si è arruolato tra le fila del Califfato (la Tunisia è il Paese africano che ha fornito più soldati allo Stato islamico) adesso combatte contro lo Stato nascondendosi nelle impervie zone montuose. In inverno la temperatura a Kasserine scende sottozero e le strade della città sono battute da venti insidiosi. L’ennesimo problema di una città ridotta all’abbandono sociale.

Dal luglio del 2018 Mohamed Kamel Hamzaoui, nuovo sindaco della città, sta cercando di porre freno alla deriva. Come primo provvedimento ha deciso di rinunciare agli emolumenti della carica, mettendoli a favore dell’amministrazione. Non ne avrebbe comunque bisogno, considerata la sua posizione di imprenditore, tra gli uomini più ricchi della regione: «Un atto che mi sono sentito di fare, per la città e per la sua gente» racconta.
Sulla vicenda di Abdrerrazak Zorgui però si fa teso e rifiuta di andare avanti con l’intervista, protetto da un manipolo di guardie all’interno del suo compound industriale alla periferia della città. Paradossalmente davanti allo studio dove i fratelli Zorgui, fotografi di professione, hanno il loro studio.

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