«La necessità di un uomo forte al potere è la malattia d’infantilismo del terzo mondo», mi ripeteva un noto intellettuale algerino Mustafa Lacheraf. E purtroppo la storia ce lo conferma. È il caso ora anche della Tunisia, il paese che sembrava aver tratto maggior profitto dalla rivoluzione del 2011, rispetto alle altre rivolte arabe. Il protagonista del ritorno ai poteri forti è l’attuale presidente Kais Saied. Eletto nel 2019 senza l’appoggio di un partito e di un programma, sull’onda del discorso populista di ridare il potere al popolo, si presentava come un uomo onesto di cui ci si poteva fidare. E invece più che come un politico in grado di risolvere i problemi del paese ha approfittato del sostegno popolare per imporre una deriva autoritaria.

E SARÀ PROPRIO il 25 luglio, anniversario del suo «quasi-golpe», che un referendum sulla nuova costituzione dovrà legittimare l’assunzione dei pieni poteri con l’instaurazione di una Repubblica presidenziale. «Che si tratti di un sistema presidenziale o parlamentare non conta. Quello che conta è che il popolo abbia la sovranità. Per il resto si tratta di funzioni e non di potere», ha affermato il presidente.

IL TESTO DELLA COSTITUZIONE che doveva essere pubblicato ieri, e forse lo sarà entro la mezzanotte, sarà sottoposto a un referendum senza nemmeno aver fissato il quorum necessario per l’approvazione, basterà una maggioranza di sì. E a questo referendum si prevede una scarsa partecipazione, come ha affermato Raja Jabri, presidente dell’osservatorio elettorale Mourakiboun, anche «per uno scarso coinvolgimento degli elettori nella discussione del testo da convalidare».

Infatti il dibattito, prima ancora dell’ufficializzazione del testo, si è già incentrato sul referendum. Del resto la Costituzione, che dovrebbe sostituire quella del 2014 elaborata sull’onda della rivoluzione, è stata redatta da una Commissione che escludeva i partiti, vera bestia nera di Kais Saied, in sole tre settimane. La Commissione redattrice che doveva coinvolgere associazioni e personalità è stata però disertata dall’Unione generale dei lavoratori tunisini (la potente Ugtt) e da molti esperti perché ritenevano che il testo fosse già stato scritto dal presidente. Il sindacato è anche tornato in piazza con uno sciopero generale proclamato per le imprese pubbliche, il 16 giugno, per protestare contro le misure che il Fondo monetario internazionale vuole imporre alla Tunisia. Tra l’altro, uno dei pilastri della nuova costituzione dovrebbe essere la limitazione dell’intervento dello stato a favore della libera impresa.

LA COSTITUZIONE del 2014 prevedeva un sistema bicefalo e imperfetto attribuendo poteri forti sia al presidente eletto con suffragio universale che al parlamento. Un parlamento spesso paralizzato dalla ricerca di alleanze tra i diversi partiti. A questo si sono aggiunti scandali e corruzione che hanno minato la credibilità dei politici. Anche di queste debolezze ha approfittato il presidente per assumere tutti i poteri e sciogliere il parlamento.

MA L’OPPOSIZIONE ha cominciato a opporsi alla deriva autoritaria. Anche i magistrati hanno scioperato per quattro settimane consecutive per protestare contro la rimozione di 57 di loro da parte del presidente.
Tra le questioni sollevate dalla costituzione e molto dibattuta vi è quella della eliminazione dal nuovo testo dell’«islam religione di stato». Non si tratta come si potrebbe supporre di separare la politica dalla religione, ma di collocare la Tunisia all’interno della Nazione-Umma, la comunità definita dalla sua identità arabo-musulmana.

LO SCONTRO ORA si gioca intorno al concetto di nazione, mentre per i laici la Tunisia è uno stato-nazione per gli islamisti è un’entità che fa parte di un’ampia comunità islamica (Umma) che si estende dall’Atlantico al Pacifico.
Quindi «Lungi dall’emancipare il campo giuridico dall’imperativo religioso, questo progetto mira in realtà a reinstaurare il religioso, come il mantenimento dell’islamità del presidente…», sostiene in un lungo e documentato articolo Sana Ben Achour, avvocata e femminista, pubblicato da Leaders.

SAIED NON AVEVA mai nascosto le sue posizioni, subito dopo l’elezione aveva cominciato a frequentare assiduamente le moschee. Nei discorsi pubblici cita spesso versetti del corano, deplora i cattivi costumi e accusa l’opposizione di apostasia.
Secondo l’analista Raouf Ben Hédi, «Kais Saied sta riuscendo da solo a realizzare quello che gli islamisti di Ennahdha, gli estremisti di Hizb Ettahrir e i terroristi salafiti d’Ansar Chariaa non sono riusciti a fare». Tuttavia, Saied aveva tratto in inganno con la sua feroce opposizione a Ennahdha. E mentre sta per varare la sua costituzione diversi leader islamisti, tra cui il fondatore di Ennahdha Rachid Ghannouchi, sono accusati da un giudice dell’antiterrorismo «di appartenenza a una organizzazione terrorista e di riciclaggio di denaro».