La tech war con gli Usa obbliga all’autarchia
Se mi lasci ti cancello. Nella battaglia per la supremazia tecnologica tra Cina e Stati uniti, il cosiddetto decoupling è un divorzio annunciato che Pechino avrebbe preferito evitare, ma a cui ora risponde con un’unica parola: autosufficienza. È questa la strada da seguire secondo quanto confermato al XX Congresso del Partito comunista cinese a proposito dell’industria tecnologica e digitale. Senza mai menzionare direttamente la tech war con Washington, nel rapporto presentato durante il Congresso il segretario generale Xi Jinping ha esposto la necessità di una «maggiore autosufficienza e forza per la scienza e la tecnologia», per fare della Cina entro il 2035 uno dei «paesi più innovativi al mondo».
Poco importa se ad accendere la miccia del disaccoppiamento sia stata la lista nera sugli investimenti verso le big tech cinesi voluta da Trump nel 2020 o se il Pcc avesse da tempo deciso di muoversi verso l’autarchia. Quanto emerge dal Congresso è che il progetto di formazione dell’industria tecnologica e digitale sarà un elemento fondante dei prossimi anni. Ed è altrettanto chiaro che in questo percorso la Cina non può più fare affidamento su un atteggiamento mite da parte degli Stati uniti.
«Con gli export sotto pressione e il settore immobiliare allo sfacelo, è nelle hard tech che il Partito cerca il motore dello sviluppo economico futuro», dice a il manifesto Rogier Creemers, professore associato presso la Leiden University e cofondatore dell’istituto di ricerca sulle politiche tecnologiche cinesi DigiChina. Meno piattaforme social, e-commerce e prodotti fintech. Più spesa per produrre chip, batterie, sistemi quantistici e tecnologie al laser in maniera indipendente. A questo serve il pacchetto da 1,4 trilioni di dollari di investimenti previsti dal 14esimo piano quinquennale approvato lo scorso marzo. E questi i settori nei quali gli Usa stanno cercando non solo di rallentare, ma di ostacolare attivamente Pechino. Da ultimo con le sanzioni emesse poco prima del Congresso, che vietando l’utilizzo di tecnologia di fattura o licenza americana nella produzione di chip puntano a bloccare Pechino al famigerato collo di bottiglia dei 7 nanometri. «Gli Stati uniti stanno di fatto dicendo che sono pronti a lasciare la Cina in uno stato di “serie B” per quanto riguarda l’innovazione tecnologica, e che lo faranno con tutti i mezzi a loro disposizione – afferma Creemers -, anche se per la maggior parte delle tecnologie impiegate in ambito militare non servono necessariamente i chip di ultima generazione».
Durante il Congresso nessuna risposta alla stangata sui semiconduttori, ma la scorsa settimana il ministero per l’Industria e le Tecnologie dell’informazione (Miit) ha incontrato le principali aziende del settore per valutarne l’impatto. Al Congresso d’altronde si fa politica. Per le policies serve tempo.
Altra tematica legata allo sviluppo tecnologico emersa nel rapporto di Xi è quella dell’acquisizione di talenti. Per accelerare il processo di autosufficienza sposta l’attenzione dall’acquisizione di tecnologie a quella di personale qualificato. Obiettivo da raggiungere investendo nella cooperazione tra industria e settore educativo e finanziando dottorati in materie Stem (Science Technology Engineering and Mathematics). È in quest’ottica che nascono iniziative come il National Cybersecurity Center di Wuhan o gli istituti per le «tecnologie del futuro» creati in 12 università nell’ultimo anno.
Al netto delle iniezioni di capitale, le università cinesi rimangono qualitativamente inferiori rispetto alle concorrenti. E per quanto riguarda l’acquisizione di talenti, la Cina dello Zero-Covid non risulta appetibile per i flussi migratori di professionisti specializzati. La strada verso l’autosufficienza accademica, così come quella tecnologica, è ancora lunga, ma resa urgente dalla postura sempre più ostile degli Stati uniti. Le ultime sanzioni riguardano anche i cittadini americani, che non potranno più lavorare per aziende cinesi che operano nell’industria dei chip.
Sul fronte tecnologico, la Cina avrebbe bisogno di tempo, ma spinge sull’acceleratore per non rimanere incastrata. E il messaggio dalla direzione del Partito così come cementificato durante il Congresso è uno: farcela da soli. A tutti i costi.
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