La Marelli, storica azienda del mondo Fiat, torna al contratto nazionale. A dodici anni dalla «rivoluzione» di Pomigliano imposta da Sergio Marchionne, la nuova proprietà ha deciso di chiudere il decennio dei contratti aziendali e separati.

Il tutto proprio alla vigilia dell’incontro di oggi a Torino tra sindacati e Carlos Tavares sul futuro degli stabilimenti Stellantis in Italia.

È la dimostrazione lampante di come la «rivoluzione» di Marchionne – il suo metodo Fca – fosse in realtà solo un mezzo per escludere dalle fabbriche la Fiom che si ribellò ai suoi ricatti, allo scambio lavoro-diritti.

La storica azienda milanese fondata da Ercole Marelli, leader mondiale nelle batterie per auto, nel 1994 è entrata a far parte del mondo Fiat, rimanendo una sorta di mosca bianca in fatto di innovazione e avanguardia nella componentistica per auto.
Per volontà di John Elkann e della famiglia Agnelli, nel 2019 Marelli è stata sacrificata per far cassa. È stata ceduta ai giapponese Ck Holdings, società controllata dal fondo statunitense Kkr. Una proprietà che ha subito sanato la stranezza sul contratto nazionale e che vuole contare dentro Confindustria.

Nell’incontro di ieri fra il management e sindacati Marelli, l’azienda ha annunciato che nei prossimi giorni formalizzerà la disdetta del contratto collettivo specifico di Lavoro – il famigerato Ccsl, inventato da Marchionne – e che applicherà il contratto nazionale dell’industria metalmeccanica.

Festeggia naturalmente la Fiom. «Un’epoca è finita, finalmente si torna al Contratto collettivo nazionale. Occorre che il governo ora rilanci l’industria della mobilità investendo sui lavoratori», commentano il segretario generale Michele di Palma e il coordinatore auto Simone Marinelli. «Una decisione maturata dopo un decennio di lotte dei lavoratori, dei delegati e degli iscritti della Fiom. Una svolta che la Fiom ha più volte chiesto e che era diventata non più rinviabile soprattutto dopo lo spin-off da parte di Fca e l’acquisizione della Marelli da parte del fondo Kkr», commenta ancora la Fiom. Che sulla trattativa con l’azienda e in generale con Stellantis chiede che il confronto parta «dalla centralità dell’industria della mobilità su cui chiediamo risorse al governo e che avvii un percorso che porti alla libertà dei lavoratori di eleggere i propri delegati», visto che nel Ccls gli Rsa che rappresentano i lavoratori sono scelti dai sindacati, non eletti dai lavoratori. Come invece succede nelle aziende che applicano il contratto nazionale e proprio qualche giorno fa è arrivata la certificazione dei risultati delle elezioni Rsu sull’ultimo contratto nazionale dei metalmeccanici: la Fiom ha la maggioranza assoluta con il 50,95%.

«Il contratto specifico è stato una forzatura del sistema di regole contrattuali – continua la Fiom – e oggi, con la compagine societaria profondamente cambiata, non trova più nemmeno la giustificazione di tipo industriale. Fca oggi è Stellantis e condivide solo in minima parte la proprietà con Cnhi, Iveco Group e Ferrari – prosegue la Fiom – . È il momento che anche in Stellantis, Cnhi e Iveco Group si apra un confronto che riporti nel sistema contrattuale del Ccnl. È il momento di riunire le metalmeccaniche e i metalmeccanici per affrontare insieme la situazione complessa che stiamo vivendo e le sfide del futuro».

Da parte dei sindacati firmatari Fim, Uilm, Fismic, Uglm e Aqcf, la botta è incassata con malcelato fastidio. «Servirà tuttelare i salari», dice la Fim Cisl. «I lavoratori non dovranno perdere nemmeno un centesimo», dichiari la Uilm.

In realtà se oggi i salari ex Fca e Federmeccanica sono simili, i lavoratori del gruppo hanno perso centinaia di euro specie nel primo quadriennio 2010-2014.