La strana storia di James Brown a Libreville
Gabon Il padrino del soul ottenne un milione di dollari da Omar Bongo. Il suo manager Charles Bobbit fu consigliere culturale del dittatore. Nel 1978 Bobbit produsse un album del figlio del presidente, Ali, spodestato la scorsa settimana dai militari. Fra cori melensi, spot tv e l’anonima voce del rampollo
Gabon Il padrino del soul ottenne un milione di dollari da Omar Bongo. Il suo manager Charles Bobbit fu consigliere culturale del dittatore. Nel 1978 Bobbit produsse un album del figlio del presidente, Ali, spodestato la scorsa settimana dai militari. Fra cori melensi, spot tv e l’anonima voce del rampollo
Il Gabon, arrivato in questi giorni agli onori della cronaca per il colpo di stato militare. Ed il soul, subito dopo il rhythm and blues. Poi ancora, la famiglia Bongo, che ha dominato il paese per mezzo secolo esatto. Prima col padre Omar, poi col figlio Ali. Ed ancora la crisi del soul e del rythm and blues alla fine degli anni ’70. Spodestati da una parte dal P-Funk, il collettivo di George Clinton, che cercava nuove strade per il genere, guardando nientemeno che alla psichedelia. E dalla disco, sulla quale ormai puntava il business musicale. Argomenti, temi che più lontani non si potrebbe. Eppure sono tutti elementi raggruppabili in una storia. Che ha un protagonista sopra agli altri: James Brown. Proprio il padrino del soul, secondo una definizione che pare si sia auto-attribuita.
È UNA STORIA complessa, dunque, piena di particolari ancora da accertare. Anche se nella sua ricostruzione è decisivo il contributo del libro di RJ Smith , The One: The Life and Music of James Brown. Si parte dalla fine degli anni ’70, quando James Brown è già una star. Nel decennio precedente con tanti singoli aveva già scalato le classifiche. Era una star ma i tempi stavano cambiando. I Parliament ed i Funkadelic erano stati “raggruppati” da George Clinton, dando vita ad un super gruppo, appunto i P-Funk che diventeranno soprattutto un genere, faranno scuola. Capaci di ispirare tutte le generazioni successive, fino all’hip hop. C’era bisogno di novità, insomma, dovute a quel che cambiava fuori dagli studi musicali.
James Brown si trovò così un po’ spiazzato. Era abituato ad enormi incassi e poi – è risaputo – aveva uno stile ed un tenore di vita decisamente “irregolari”. Irregolare e contraddittorio, anzi era «una montagna di contraddizioni», per usare la perfetta definizione che di lui ha dato Ian Paen Man nel suo libro Mi porta a casa, questa curva strada. Che lo descrive come un uomo che «predicava la rivoluzione nera ma corteggiava i repubblicani», che si beava di essere stato eletto imprenditore nero dell’anno ma non voleva pagare le tasse. Era arrivato ad avere un debito di 17 milioni di dollari con l’erario americano. Al punto che chiese aiuto a Jimmy Carter, governatore della Georgia, lo stato dove viveva. Aiuto che non arrivò.
BROWN ERA NEI GUAI. E qui si arriva al Gabon. Omar Bongo, governava – comandava – già da qualche anno e dentro quel mix di finte frasi anticoloniali accompagnate da una feroce repressione interna, faceva di tutto per accreditarsi come il giovane presidente africano. Il più giovane ed il più moderno. Definizioni che si legavano alla passione – non si sa quanto spontanea e quanto fabbricata – per la musica nera che arrivava dall’altra parte del mondo. In particolare diceva di amare alla follia James Brown.
Gli piaceva, voleva assomigliargli. Al punto che fece arrivare un barbiere ed un sarto dall’America per presentarsi come lui. Poi, al suo 39esimo compleanno, fece di più: lo invitò alla sua festa a Libreville. Compenso: 160 mila dollari. Quando Brown ripartì, Bongo si fece intervistare da un giornale della Georgia e disse che era sua intenzione stabilire una relazione non occasionale col musicista. Relazione non solo culturale: gli offrì di fare affari insieme.
Brown non accettò l’invito alla joint venture ma colse la palla al balzo e chiese a Bongo padre un milione di dollari, raccontandogli i problemi col fisco. E quel milione arrivò, non si sa se in prestito od in regalo.
MA QUEI SOLDI non bastarono. Un po’ di tempo dopo, Brown decise di chiedere un altro milione al dittatore. Non potendo andare in Africa, mandò a Libreville il fidato Charles Bobbit, suo storico manager, che tutto il mondo conosce come il produttore di Make it Funky.
Bobbit arrivò in Gabon e “consegnò” la richiesta. Omar Bongo sembrò un po’ irritato ma non se la sentì di dire di no al suo protetto. Così giocò al ribasso e contropropose di prestare solo 300 mila dollari. Pochi. James Brown disse al suo manager di insistere.
È a questo punto che Charles Bobbit perde le staffe. Ed è qui che i racconti si fanno più sfumati. La storia, o la leggenda – e le testimonianze raccolte da RJ Smith – raccontano che Bobbit decise di tagliare i ponti. E di tenersi i trecentomila dollari. Vero o falso, fatto sta che non riparte da Libreville e fatto sta soprattutto che Bobbit diventa – e lo resterà per anni – «consigliere culturale» di Bongo.
ALLA FINE CHARLES recupererà un rapporto con Brown ma delle sue iniziative culturali in Gabon restano poche tracce. Una soprattutto: la produzione di un album del figlio di Omar, Ali, quello che ha preso il suo posto, che è stato presidente fino all’altro giorno. Un album nel quale fa capolino nientemeno che Fred Wesley, storico collaboratore di Maceo Parker. Un album, (una delle canzoni si può ancora ascoltare qui) difficile da definire, fra un soul ormai diventato melenso, banali coretti tutti disco, spot televisivi e l’anonima voce del “figlio del capo”.
Un album che non passerà alla storia. Anche perché quella storia del Gabon sembra ormai finita.
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