Correre ai ripari per spegnere subito la fiammata in Kosovo, che rischia di aprire un nuovo fronte, mentre gli attacchi dei droni stanno facendo prendere una nuova dimensione alla guerra in Ucraina.
Ieri ci sono state ancora reazioni Nato, dagli Usa e dalla Ue alle violenze nei quattro comuni del Kosovo dove la popolazione è a maggioranza serba e che il 23 aprile scorso hanno eletto, con una partecipazione al 3,5% dei soli cittadini albanofoni, dei sindaci che in questi giorni cercano di prendere possesso degli uffici comunali scortati dalla polizia kosovara.

LA REAZIONE più forte è venuta dagli Usa: il Kosovo è stato espulso da un’esercitazione militare Nato in Europa, Defender 23, tra aprile e giugno, a cui partecipa una ventina di paesi. «Per il Kosovo, questa esercitazione è finita» ha tagliato corto l’ambasciatore Usa a Pristina, Jeffrey Hovenier. «Una surreazione» per il primo ministro kosovaro, Albin Kurti, presente a Bratislava al Globsec, un think tank slovacco, assieme ai paesi europei, Ue e non Ue: le sanzioni contro il Kosovo sono «sproporzionate e ingiuste». Kurti si è poi detto disposto a incontrare il primo ministro serbo Aleksandar Vucic, ma «a Bruxelles», sotto egida Ue. Per Macron, «molto chiaramente c’è responsabilità da parte delle autorità del Kosovo nella situazione attuale e nel mancato rispetto dell’accordo importante che era stato firmato poche settimane fa». C’è stato infatti un processo di mediazione europea, con particolare impegno dei negoziatori della Repubblica ceca (durante la presidenza del Consiglio da parte di Praga), sostenuti da Olaf Scholz, Emmanuel Macron e dal capo della diplomazia europea Josep Borrell. «Abbiamo chiaramente fatto sapere alle autorità kosovare che è stato un errore procedere a queste elezioni», ha affermato il presidente francese.

LA NATO ha inviato altri 700 militari, in seguito alle violenze di martedì e al ferimento di 30 militari della Kfor, la missione Onu. Nella cittadina di Zvecan ci sono state nuove manifestazioni serbe, con il dispiegamento di una mega-bandiera di 250 metri, con musiche e slogan di Belgrado. Gli europei sono riuniti a Bratislava, per il Globsec e oggi 47 stati saranno rappresentati a Chisinau, in Moldavia, per il secondo summit della Cpe, la Comunità politica europea, il forum lanciato nel 2022 per approfondire il dialogo tra tutti gli europei, soprattutto con i paesi che non sono nella Ue né nella Nato. Tra questi, appunto, i Balcani occidentali, che sono in fila nel negoziato con Bruxelles e si sentono trascurati di fronte alle promesse di «fast track» fatte all’Ucraina e alla Moldavia.

LA CPE è un tentativo di tenere aperto il dialogo con i paesi non membri della Ue, gli ex (Gran Bretagna), quelli che vi aspirano (Balcani occidentali, Ucraina, Moldavia) e i più periferici che si allontanano (Turchia). È una struttura informale senza segretariato né budget, al vertice di Chisinau di oggi non c’è un ordine del giorno prestabilito né ci sarà un comunicato finale. Nata per dare una prospettiva a Kyiv, in queste ore la Cpe è al centro del tentativo di raffreddare la fiammata di violenza in Kosovo, che rischia di aggravare le tensioni geopolitiche in Europa, con la Russia che soffia sul fuoco. A Chisinau, nei bilaterali, è stata discussa la questione dell’Ucraina nella Nato: c’è divisione in Europa, Kyiv dovrà comunque aspettare la fine della guerra. Macron si è detto d’accordo con il vecchio Henry Kissinger, che in una recente intervista ha affermato che bisogna integrare l’Ucraina nella Nato, «per la nostra sicurezza».