Entrando nel Complesso dell’Ospedaletto a Venezia, a incuriosire il visitatore sono i piatti di terracotta sorretti da strutture di ferro. Prodotti da artigiani in una fabbrica a un paio d’ore da Dubai, i piatti accolgono la creazione congiunta di tre artisti iraniani esuli negli Emirati. Su ogni piatto, ritagli di giornale e disegni. Ogni opera è un atto collettivo, mescola arte e attualità. Ogni struttura ha un suo tema: il ritiro dall’Afghanistan della coalizione guidata dagli americani, il conflitto israelo-palestinese, il covid, il disordine del nostro mondo. Sono alcune delle tematiche del collettivo di Ramin Haerizadeh, Rokni Haerizadeh e Hesam Rahmanian in collaborazione con il fabbro Mohammed Rahis Mollah, originario del Bangladesh e operativo anche lui a Dubai.
Nel loro repertorio aveva trovato spazio il poema Esmail del dissidente Reza Baraheni (1935 -2022), originario della regione iraniana dell’Azerbaigian ed esule in Canada. Scritto negli anni 80, è il ricordo del collega Esmail Shahroudi traumatizzato dalla rivoluzione del 1979 e ricoverato nel manicomio Mehregan di Teheran, dove molti intellettuali sono stati rinchiusi. Per il collettivo utilizzare il testo Esmail, «in cui sono evidenti i riferimenti alla guerra scatenata nel 1980 da Saddam, è un tentativo di tenere viva la memoria». Un altro esempio di letteratura utilizzata dal collettivo è Shavoshi del poeta Mehdi Akhavan-e Saless (1929-1990), laddove «shavoshi è il suono che ti induce ad affrontare il pellegrinaggio, la migrazione».
Esposto nell’ambito della Biennale fino al 27 novembre, il progetto di Ogr Torino (un hub internazionale dedicato all’arte e alla cultura contemporanea, all’innovazione e all’accelerazione d’impresa) è curato da Samuele Piazza con il sostegno di Fondazione Crt e con il contributo di Galerie In Situ-fabienne leclerc, Grand Paris.
La mostra si intitola Alluvium, un nome che rimanda all’argilla, alla ghiaia, al limo depositati dall’acqua corrente. Richiama la materialità dei dipinti presentati in mostra e del loro supporto fisico in terracotta e metaforicamente i resti di un flusso più astratto: i detriti lasciati dal flusso di notizie, immagini culturali e storia che gli artisti setacciano e scansionano e da cui pescano materiali sedimentati, raccolti per guadagnare nuova vita, in un atto di resistenza e creazione di una contro narrazione.
La storia setacciata da artisti iraniani esuli
59/a Biennale d'arte di Venezia. Fra gli eventi collaterali, la mostra «Alluvium» al Complesso dell'Ospedaletto, con le opere di Ramin Haerizadeh, Rokni Haerizadeh e Hesam Rahmanian
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Particolare da «Alluvium» - Foto di Matilde Cenci
59/a Biennale d'arte di Venezia. Fra gli eventi collaterali, la mostra «Alluvium» al Complesso dell'Ospedaletto, con le opere di Ramin Haerizadeh, Rokni Haerizadeh e Hesam Rahmanian
Pubblicato 2 anni faEdizione del 30 aprile 2022
Farian Sabahi, VENEZIA
Pubblicato 2 anni faEdizione del 30 aprile 2022