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La storia di un uomo che perse tutto

La storia di un uomo che perse tuttoIrpinia, tre settimane dopo il terremoto del 23 novembre 1980 – Dino Fracchia

23 novembre 1980 La notte del sisma Mario Porreca aveva 30 anni e viveva a Castelnuovo con moglie e 3 figli. 40 anni dopo quel giorno vive ancora nel prefabbricato, per sua scelta. Non si è mai voluto spostare da lì

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 24 novembre 2020

Mario Porreca ha trent’anni. Vive a Castelnuovo di Conza con la moglie e tre figli. Lavora come operaio forestale e gioca a pallone. Quella domenica è con la figlia Filomena di quattro anni e mezzo e la figlia Maria Grazia di due anni. È a casa di sua madre, Filomena Del Buono, 59 anni. La moglie di Mario, Giuseppina La Morte, ha 26 anni ed è rimasta a casa con il figlio Gerardo Vittorio, anche lui piccolissimo.

Alle 19.30 stanno in cucina, in attesa di mangiare la pizza col granturco. C’è pure una delle sorelle di Mario, Giuseppina di 26 anni. Manca solo il padre. Si chiamava Vittorio, è morto che aveva 54 anni. Mario ha una sorella negli Stati Uniti, un fratello a Losanna e un altro a Bruxelles. Dopo molti anni in Canada, è tornata pure la sorella Lilina col marito. E da poco anche il cugino Giuseppe, venuto dalla Svizzera per fare il concorso da vigile.

La pizza non è ancora pronta. Mario tiene in braccio la figlia Filomena, la figlia prediletta. Arriva la scossa. Prova ad andare verso la porta, ma la casa già non è più la casa, viene sbattuto non sa dove. Quando finisce il boato, si ritrova seppellito nelle macerie. Può muovere solo la testa e un braccio. Sente la voce di Filomena. Passano lunghe ore, è un tempo che non puoi misurare. Per qualche secondo Mario si addormenta. Filomena continua a chiamarlo, lo tiene sveglio, lo tiene vivo. Filomena gli chiede il pigiama, è vicina ma non la vede. Mario da fuori sente arrivare una voce. È il vicino che è andato a vedere se il suo asino è vivo. Arriva l’alba, ma su quelle macerie non ha messo le mani ancora nessuno. Quando arrivano i soccorsi Mario non può vedere nulla, ha gli occhi immersi nella polvere. Alle undici del mattino finalmente lo avvolgono in un lenzuolo e lo portano via. Raccomanda ai soccorritori di occuparsi della figlia, dice che era lì, vicina a lui.

Mario ora è in ospedale, a Battipaglia. Non sa niente del resto della sua famiglia. Ha una gamba e un braccio che non si muovono. Nessuno sa cosa rispondere alle sue domande. Qualche giorno dopo arriva in ospedale suo fratello, quello che sta in Svizzera, e non può nascondergli la verità: Mario, sei rimasto solo, non hai più nessuno. Oltre alla casa della madre, in cui sono tutti morti, è caduta anche la casa dove c’era sua la moglie, trovata morta col bambino in braccio. E in un’altra casa è morta pure la sorella col cognato. E pure il cugino che aveva salutato mezz’ora prima della scossa. Mario quel giorno era andato a giocare a bocce. Era andato a casa della madre per la pizza e per vedere la partita.

Mario tornerà a Castelnuovo quando ormai gran parte delle macerie sono state rimosse e la gente è alloggiata nei prefabbricati. Lui va ogni giorno nella zona dove abitava. Il dolore non gli ha chiuso il cuore. Partecipa alla vita del paese che prova a rinascere. Dopo tre mesi hanno trovato una bambina nella zona dove è caduto tutto. A maggio sarà lui a ritrovare tra le rovine Rosaria Sessa, una donna di cui si erano perse le tracce.

Dopo quarant’anni Mario vive nel prefabbricato, per sua scelta. Non si è mai voluto spostare da lì. Fuori c’era il paese. A casa si è fatto compagnia con gli animali. La sera del terremoto morirono pure il suo cane che si chiamava Rin Tin Tin e quello della sorella che si chiamava Lassie. Parla tranquillo l’uomo di Castelnuovo. Ha perso tutto quello che poteva perdere ma è rimasto intero, pur avendo gli occhi, le gambe, il cuore al cimitero.

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