La Spagna verso la global minimum tax
Big tech Tra i primi paesi dell'UE ad introdurre una “tassa digitale” su aziende come Google, la Spagna ha rafforzato il suo status di pioniere in materia di rigore fiscale, con cui spera di convincere i paesi partecipanti del G20 che si incontreranno alla fine del mese e i presenti al vertice OCSE di questo venerdì
Big tech Tra i primi paesi dell'UE ad introdurre una “tassa digitale” su aziende come Google, la Spagna ha rafforzato il suo status di pioniere in materia di rigore fiscale, con cui spera di convincere i paesi partecipanti del G20 che si incontreranno alla fine del mese e i presenti al vertice OCSE di questo venerdì
Oltre alla legge sulla regolamentazione degli affitti, fortemente voluta da Unidas Podemos per sgonfiare la bolla speculativa degli affitti nelle grandi città e nelle isole turistiche, il governo rosso-viola ha sciolto le riserve su un altro importante nodo.
In seguito all’accordo tra Pedro Sánchez, la ministra delle finanze socialista María Jesús Montero, la vicepresidente Yolanda Díaz, ministra del lavoro, la segretaria di Unidas Podemos e ministra degli affari sociali Ione Belarra, il governo spagnolo si impegnerà a portare avanti un’imposta societaria minima del 15 percento contro le grandi imprese, puntando a inserire la riforma fiscale nella legge di bilancio del 2022.
Durante i negoziati condotti dall’OCSE a Parigi, e insieme ad altri 130 paesi, la Spagna aveva già votato favorevolmente all’introduzione un’aliquota fiscale minima globale di almeno il 15 percento contro i colossi del digitale. In un’intervista, María Jesús Montero, ministro delle finanze, ha dichiarato inaccettabile che alcuni gruppi in Spagna paghino solo il 6 per cento di imposta sulle società, mentre le aziende più piccole paghino il 19 per cento, aggiungendo che “non si può giustificare un sistema fiscale così regressivo”.
Riferendosi alla riforma fiscale avanzata dall’OCSE e precedentemente appoggiata dai membri G7 (di cui la Spagna però non fa parte), Montero ha dichiarato il concordato sulla “tassa globale minima” come “necessario e inarrestabile” e “indipendente da ciò che accadrà nel Congresso degli Stati Uniti”. Il riferimento è a Joe Biden e alla sua campagna interna al Congresso per salvare il disegno di legge che contiene proposte per una nuova imposta minima sul digitale e sui principi di tassazione, nonché un aumento delle imposte principali per le imprese. A Biden mancherebbe il voto chiave di due senatori per vedere approvato il disegno.
Ma se gli USA vacillano, per Montero l’Europa non può più tirarsi indietro. Tra i primi paesi dell’UE ad introdurre una “tassa digitale” su aziende come Google, la Spagna ha rafforzato il suo status di pioniere in materia di rigore fiscale, con cui spera di convincere i paesi partecipanti del G20 che si incontreranno alla fine del mese e i presenti al vertice OCSE di questo venerdì.
Anche il Commissario all’Economia Paolo Gentiloni è fiducioso di riuscire a trovare un accordo per il 2023. Intanto, il governo spagnolo è in fase finale di negoziazione sulle proposte di bilancio del governo per il 2022. Anche Podemos, partner di minoranza dei socialisti sta spingendo per includere l’aliquota del 15 per cento nel piano di bilancio del paese. Ma se le speranze di buona parte del governo rosso-viola possono essere soddisfatte tramite l’appoggio del parlamento, il consenso europeo rischia ancora di essere messo alla prova da differenze sostanziali a livello internazionale.
Un potenziale punto critico rispetto l’introduzione di una tassa sul digitale è infatti la mancanza di unanimità a livello europeo. Mentre ogni paese membro può implementare unilateralmente la riforma, per agire in blocco e beneficiare collettivamente dei pilastri che essa propone, l’Europa richiede unanimità dei suoi 27 membri. Estonia, Ungheria, Malta e soprattutto l’Irlanda non hanno ancora approvato l’accordo.
La maggior parte dei big tech (tra cui Google, Apple, Microsoft, Dell, Intel, Facebook, LinkedIn, Twitter e PayPal) che pagano basse aliquote fiscali in Irlanda sono società statunitensi, a cui l’Irlanda garantisce notoriamente un’aliquota bassa al 12,5%. Nonostante le resistenze, se il Congresso degli Stati Uniti approvasse la legislazione voluta da Biden l’Irlanda perderebbe automaticamente il suo vantaggio fiscale e nelle ultime ore, dopo lo scandalo dei Pandora Papers, il primo ministro irlandese Leo Varadkar ha dichiarato di potersi aprire a contrattazioni sulla tassa globale minima, ricevendo le lodi di Spagna e Francia.
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