Sono arrivati con la nebbia, che a Milano non si vedeva da un po’. «Restiamo qui almeno fino a sabato, poi decideremo» dice un ragazzo del lodigiano mentre scarica tavoli e panche dal cassone di un rimorchio attaccato rigorosamente a un trattore. Il presidio alle porte di Milano – all’imbocco del casello dell’autostrada di Melegnano – prende forma tra gazebo, pane, salame, formaggi, vino e i bidoni con dentro i ciocchi di legna da bruciare per scaldarsi. Quando il sole va giù fa freddo in questo lembo di territorio tra la città e la campagna. Siamo nel Parco Agricolo Sud Milano. La signora Irene ha una cascina poco lontano da qui, cascina Santa Brera, dove vanno a mangiare i milanesi nel fine settimana. Vuole sentire cosa dicono gli agricoltori, anche se una sua idea se l’è già fatta: «Bisogna proteggere l’agricoltura e conseguentemente la produzione di cibo».

I PRESIDI LOMBARDI – Melegnano, Brescia, Mantova, Voghera, Caravaggio – sono convocati del neo nato movimento Riscatto Agricolo. Il portavoce, Filippo Goglio, è un veterano della protesta. «Trent’anni fa ero a rovesciare il latte in tangenziale a Linate» ricorda Goglio, ex Cobas latte. La storica protesta per le quote latte, anche allora contro le politiche dell’Unione Europea, finì con multe salatissime da Bruxelles che l’Italia sta ancora pagando. I trattori parcheggiati sulle rotonde all’imbocco del casello autostradale sono 250, dal presidio durante la giornata passano in diverse centinaia tra addetti ai lavori e cittadini curiosi. A metà mattina arriva un’auto, scende un signore che scarica dal baule un po’ di casse di arance.

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Non è un agricoltore, abita in zona: «Non fatevi piegare» dice mentre scarica gli agrumi. Ma piegare da chi, chiediamo. «Dai politici di Bruxelles». Il bersaglio come noto è la Pac (politica agricola comune) e le ricadute sull’agricoltura di alcuni punti del Green Deal. Per questi agricoltori la via alla sostenibilità europea penalizza troppo il loro lavoro. In questo presidio ci sono soprattutto piccoli proprietari, terzisti, qualcuno con aziende agricole che fino a 20 anni avevano il doppio di dipendenti. «Abbiamo già pagato, non vogliamo sparire» dice un risicoltore del pavese. Si avvicina un ragazzo: «Io ho 30 anni, vengo da Turbigo, lavoro nell’azienda agricola di famiglia. In dieci anni ho visto svalutare il nostro lavoro. Noi dobbiamo rispettare regole sempre più severe e siamo costretti a produrre meno, l’Italia poi però importa i nostri stessi prodotti da zone del mondo dove usano regole e pesticidi che noi qui non usiamo più da anni».

BALZA ALL’OCCHIO la giovane età di molti dei partecipanti al presidio, sono tanti quelli che hanno tra 25 e 30 anni. «Io ne ho 26, vengo dal lodigiano. Siamo qui perché ci vogliono imporre di tenere incolto il 4% del terreno pagandoci per non coltivare» dice prima di sapere che la Commissione Ue su questo ha concesso una deroga. «Il problema è che importeranno ancora più prodotti esteri. Sembra quasi un progetto per distruggere la nostra agricoltura».

PRODURRE MENO ma meglio, non potrebbe essere una soluzione utile a tutti? «Capisco, ma queste regole sono fatte apposta per impoverirci e comprare i nostri prodotti da paesi lontani migliaia di chilometri che se ne fregano della transizione ecologica: è sostenibile questo?».

OGNI TRATTORE ha una bandiera tricolore appiccicata sopra e qualche cartello con scritte come «no farmer, no food», «l’agricoltura è vita, rispettala», «noi 4% incolto, voi 100% incolti», «no insetti, sì grano italiano». Buona parte di loro vede nel governo Meloni un alleato, ma è una fiducia condizionata: «Vedremo se non cederà a Bruxelles» dicono tutti. C’è indubbiamente una componente reazionaria e conservativa in questa protesta, ma solleva questioni – e contraddizioni – che interessano tutti. «Chiediamo rispetto e rifiutiamo l’etichetta di essere quelli contro l’ambiente. Abbiamo cambiato il nostro modo di fare agricoltura, siamo seguiti da agronomi che ci aiutano a rendere meno inquinanti le nostre colture» dice un quarantenne arrivato col suo trattore dalla provincia di Como.

A metà mattina passa dal presidio anche l’ex consigliere provinciale di Rifondazione Comunista, ed ex sindaco di un paesino qui vicino, Massimo Gatti. Altri politici non se ne vedono. Qualcuno ha in tasca ben nascosta la tessera di Coldiretti o Confagricoltura. Forse nei prossimi giorni la Lega o Fratelli d’Italia proveranno a venire anche qui a strappare qualche applauso.

Sono gli stessi che governano la Lombardia da 30 anni e che hanno devastato intere aree agricole per fare posto a strade, tangenziali, opere come la Teem, la BreBeMi o la Pedemontana. Arrivano le telecamere delle tv, si aprono spazi per parlare a un pubblico largo. Nel pomeriggio i trattori sfilano nei paesini per parlare alla gente comune. Se qualcuno con un’idea diversa di agricoltura rispetto all’agrobusinees ha voglia di dire qualcosa che va oltre gli sconti sul gasolio o la guerra alla farina di grilli, lo spazio è qui.