La soluzione polacca: un altro muro al confine bielorusso
La crisi alla frontiera Situazione drammatica, salgono a dieci le vittime tra i migranti. La testimonianza di Anna Dabrowska della rete di ong Grupa Granica: «Supponiamo che il numero di decessi sia più alto di quello ufficiale»
La crisi alla frontiera Situazione drammatica, salgono a dieci le vittime tra i migranti. La testimonianza di Anna Dabrowska della rete di ong Grupa Granica: «Supponiamo che il numero di decessi sia più alto di quello ufficiale»
La crisi migratoria alla frontiera tra Polonia e Bielorussia registra un’altra vittima: un cittadino siriano il cui corpo senza vita è stato rinvenuto nella giornata di venerdì nei dintorni del villaggio di Wolka Terechowska, in territorio polacco nella regione della Poldlachia. Secondo stime non ufficiali, sarebbero almeno dieci le persone morte lungo il confine tra i due paesi ma potrebbero essere molte di più. In Podlachia l’esercito e le guardie di frontiera continuano imperterriti a respingere i migranti che provano a superare la porta d’accesso orientale dell’Ue.
Ci sono pochi dubbi sul fatto che il governo polacco procederà ad oltranza con questa politica di push-back, almeno fino a metà dell’anno prossimo. Niente Frontex e Nato al momento, il confine polacco è presidiato da 13mila militari ma a medio termine Varsavia ha già pronta una soluzione diversa da mettere in pratica, con o senza il finanziamento di Bruxelles: un muro vero e proprio, alto 5,5 metri e lungo circa 180 chilometri, che andrà a sostituire le spirali di concertina, un tipo di filo spinato corredato di lame, installato nelle ultime settimane tra i due paesi.
La situazione resta drammatica ma c’è comunque chi prova a strumentalizzarla all’estero e anche in Italia: «I primi di dicembre sarò in Polonia. La Polonia era brutta e cattiva fino alla settimana scorsa e ora è diventata un baluardo perché fa da argine agli immigrati irregolari provenienti dalla Bielorussia», ha dichiarato ieri Matteo Salvini che all’inizio del mese prossimo incontrerà Jaroslaw Kaczynski, numero uno del partito della destra populista di Diritto e giustizia (Pis), in testa alla coalizione illiberale attualmente al potere in Polonia.
Altro che baluardo, per molti il governo targato Pis merita di finire in aula per il modo in cui sta gestendo la crisi alla frontiera: l’avvocata Antonella Mascia ad esempio ha presentato nei giorni scorsi un ricorso d’urgenza alla Corte europea dei diritti dell’uomo contro la Polonia.
Intanto, per capire meglio la situazione, abbiamo sentito Anna Dabrowska, presidente di «Homo Faber». L’associazione con sede a Lublino fa parte della rete di ong «Grupa Granica» (Gruppo Frontiera) che sta aiutando come può i migranti intrappolati al confine.
Quali sono le principali attività svolte sul campo?
Come membro di Grupa Granica ci occupiamo di diverse cose. Forniamo assistenza umanitaria e legale. Siamo presenti negli ospedali e ai posti di frontiera. Ove possibile, insieme ad avvocati, aiutiamo a preparare i ricorsi alla corte europea dei diritti dell’uomo. Siamo inoltre sempre presenti sul territorio con campagne informative e didattiche indirizzate agli abitanti alla frontiera. Dal 23 agosto fino al 7 novembre abbiamo condotto un’iniziativa porta a porta per discutere direttamente con le persone della crisi migratoria alla frontiera utilizzando lo slogan «Aiutare è legale». In questo modo siamo riusciti a visitare almeno 130 villaggi. Negli ultimi 10 giorni abbiamo svolto almeno 113 interventi in località in cui vige lo stato di emergenza, fornendo assistenza umanitaria, legale e medica a circa mille persone tra le quali un centinaio di bambini.
Come definireste le vostre relazioni con gli abitanti delle aree in cui è stato dichiarato lo stato di emergenza?
I cittadini residenti in queste zone, o nelle località al ridosso di esse, sono persone chiamate a confrontarsi direttamente con la crisi. Quelli che vogliono aiutare li integriamo nella nostra rete, li prepariamo, gli trasmettiamo il materiale umanitario raccolto mettendo a disposizione ogni risorsa in nostro possesso. Siamo consapevoli della situazione di stress enorme e delle pressioni alle quali sono sottoposti ogni giorno. Non ho dubbi sul fatto che gli abitanti sono la più grande forza nella macchina degli aiuti.
Ci sono molte «luci verdi» accese nei villaggi intorno ai checkpoint?
Non so, ma è certo che in tutte le regioni alla frontiera ci sono persone pronte ad aiutare. Queste luci hanno soltanto una funzione simbolica. Per me quello che conta davvero sono i fatti: qualcuno deve andare nei boschi per dare cibo a queste persone.
Quante vittime avete contato dal mese di agosto?
Difficile fornire numeri precisi. Le statistiche ufficiali parlano di 10 morti di cui 7 sul versante polacco. L’ultima vittima di cui abbiamo avuto notizia era un ventenne siriano. Noi comunque supponiamo che il numero di decessi sia più alto.
Siete in contatto con attivisti e ong presenti in Bielorussia?
Fino ad ora non abbiamo avuto nessun canale di contatto con organizzazioni dall’altro lato della frontiera.
È a conoscenza di situazioni in cui ai migranti è stato proposto un volo di ritorno nel paese di origine oppure la possibilità di presentare domanda di asilo?
Non siamo in possesso di questo tipo di informazioni.
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