Se una volta era la televisione a svolgere un ruolo di regolamentazione e di mediazione tra dinamiche socioculturali e immaginario collettivo, oggi sono i social ad essersi auto-investiti della funzione.

La domanda propone, l’offerta dispone. Ė il mercato. Quello meno apparentemente nobile di borsa e finanza ma pur sempre mercato.

Lanciato nell’agosto del 2018 dall’ingegnere informatico cinese Zhang Yiming, il social TikTok ha offerto a chiunque l’opportunità di dare libero sfogo alla propria immaginazione, consentendo di registrare video con musica di sottofondo, creare gallerie di foto, fare delle stories e video live.

Creato un proprio account – consentito a partire dai 14 anni – dal quale è possibile conoscere il numero di follower e dei “mi piace”, l’installazione è sufficiente per vedere e caricare i video auto o etero-prodotti scegliendo tra le categorie “Seguiti” e “Per te” – quest’ultima disegnata dall’algoritmo della piattaforma, orientato dai gusti degli utenti in ragione di come si comportano più che di quello che scelgono. Ai tre formati iniziali (15, 60 secondi e 3 minuti), da quest’anno si è unita la possibilità di caricare video della durata di dieci minuti.

I social media esercitano una forte attrazione e non solo per i più giovani (Cohen et al., 2021; Gioia et al., 2020; O’Keeffe et al., 2011).

Quasi la metà della popolazione mondiale utilizza tali app soprattutto sui dispositivi mobili, arrivando ad un uso medio di circa due ore e mezza al giorno, in pratica un terzo del tempo dedicato all’online – sempre in media – degli utenti Internet (We Are & Hootsuite, 2021). L’utente statunitense medio – più di cento milioni – guarda TikTok per ottanta minuti al giorno, più del tempo trascorso su Facebook e Instagram messi insieme.

Nel 2021 il social cinese è stato visitato più di Google. Secondo un rapporto pubblicato quest’anno da Qustodio, è il più usato dai bambini.

“Non stiamo parlando di un’app di video di balletti”, dice Abbie Richards, una ricercatrice che parla di disinformazione su TikTok, dove ha mezzo milione di follower, “ma di una piattaforma che sta plasmando il modo in cui un’intera generazione impara a conoscere il mondo” (da “Come TikTok ha divorato la rete” di Drew Harwell, Internazionale del 9 dicembre 2022, p. 44).

Dunque, mentre il mondo potrebbe andare a rotoli tra minacce di guerra totale declinata in modalità atomica, crisi economica, emergenza ambientale, su TikTok – il social più scaricato a livello planetario, 3,5 miliardi di download dell’app gratuita nell’aprile 2022 – si è consumata in questi giorni, nel nostro Paese, la riformulazione simbolica del rapporto tra individuo e società.

Il palcoscenico social, dunque, come luogo elettivo dell’innovazione di codici comportamentali e della moderna e tiepida trasgressione che di fatto assurge a virale per paradosso ossia per decretare la fine dei codici precedenti, sebbene a ben guardare, il carico di aspettative legate al nuovo è finito ridimensionato e decifrabile entro le più trite e consuete categorie interpretative.

Una famiglia campana, cinque figli, milioni di follower conquistati con la messa in scena della vita quotidiana tra abbuffate di cibo spazzatura e ben più raccomandate pietanze della tradizione mediterranea, tra canzoni pubblicate su Youtube e discussioni sull’opportunità del reddito di cittadinanza. Qualche scaramuccia tra tiktoker, la ferma e minacciosa ribellione a commenti non del tutto graditi, qualche inevitabile urto della vita ed ecco la popolarità, i regali, le sponsorizzazioni, vassoi di dolci offerti dai produttori locali, mega forniture di prodotti da forno per sentire il nome della propria azienda pronunciato dal testimonial prescelto.

Ecco inaugurato un nuovo genere di intrattenimento (distrazione) a partecipazione di massa: la socialnovela.

Le influencer patinate che sembrano vivere vite irregimentate e le più allegre e chiassose tiktoker lady in ciabatte. Le dive di Hollywood per i profumi da regalare in occasione del Natale, le dive social per avere certezza di fare colazione con il cornetto più gustoso del territorio.

L’ansia di modernizzazione e di trasgressione, però, finisce per scontrarsi con la realtà ed è subito ritorno al passato.

Ecco inaugurato un nuovo genere di intrattenimento (distrazione) a partecipazione di massa: la socialnovela.

Very e Sasy genitori di Carmen (17 anni), annunciano la nascita del loro primo nipotino. Nel giro di poche ore si scatena il dramma vecchio come l’istituzione familiare italiana. Francesco (detto Kekko) lascia la futura mamma – o è lei a lasciare lui come precisato da suo padre, considerata la mancata disponibilità del ragazzo ad assumersi le conseguenti responsabilità?

Nel solco della fiction televisiva a lunga serialità quale era la soap opera, all’origine prodotta quasi esclusivamente per il pubblico femminile, per diventare poi prodotto per famiglie, amici di famiglia intervengono a sostegno dell’una e dell’altra parte fino a quando a parlare non è la madre del giovane, Giusy. Negando la reticenza di suo figlio dinnanzi alla meravigliosa notizia di un bambino in arrivo, la suocera – non è ancora detto che il suo ruolo sia questo anche in futuro – chiarisce che nel corso della prima ecografia il ragazzo era presente. Una seconda versione, confermata da amici di famiglia, convalida questa ipotesi, lasciando però grossi dubbi non ancora chiariti: perché chi registrava i filmati non ha inquadrato il giovane? Chi ha pagato l’ecografia?

La ridda di ipotesi non lascia margini alla possibilità di conseguire certezze in proposito. In più, nel dialetto napoletano si dice “stevese”, “stevane”, “staveme” per intendere che “stavano”. Il video della signora Giusy ha destato, l’ancora irrisolto, sconforto dei cultori di studi linguistici partenopei.

Al momento la situazione sembra essersi relativamente stabilizzata.

La giovane donna in attesa si è dimostrata capace di reagire alla delusione, anche grazie al sostegno dei follower, il futuro papà, sommerso dagli inviti più o meno amichevoli all’ingresso nell’età adulta presenti nelle migliaia di commenti, appare più ben disposto al ruolo genitoriale, pur combattendo con qualche dubbio su quello di compagno/marito. Tutto intorno migliaia di curiosi rimasti in silenzio da involontari spettatori (il misterioso caso dell’algoritmo e della sezione “Per te”), migliaia di curiosi che hanno seguito con interesse la vicenda senza per questo passare ai commenti, migliaia di persone che hanno deciso di esprimere la propria idea sull’accaduto.

Altri tiktoker nell’espletamento delle proprie funzioni quotidiane di influenzatori – senza nessun riferimento all’influenza stagionale e alla sua contagiosità – hanno manifestato, tra il serio e il faceto, la propria solidarietà o la decisa volontà di non intromettersi – esempio di comunicazione paradossale direttamente dalla Scuola di Palo Alto.

In totale milioni di persone coinvolte. Magari non necessariamente le stesse ma sono numeri di persone che ci si aspetterebbe nelle piazze per manifestare contro la guerra.

L’intreccio sentimentale tra i vari personaggi, i risvolti imprevisti, il sogno d’amore infranto, i video girati in interni, i primi piani, la semplicità dei dialoghi, l’essere uno svago per lo spettatore, hanno decretato il successo della moderna soap opera italiana “Un posto al sole… nonostante il nulla di nuovo sotto il sole”. Ritorno al passato, accompagnandosi verso il futuro.

Cosa accadrà adesso?

Con buona probabilità si consumerà il lieto fine atteso dai più con matrimonio da favola presso un castello, menu pantagruelico e lancio di colombe o chissà, da esperti sceneggiatori, i protagonisti preferiranno lasciare un finale aperto, tenendo legati i video-spettatori tra alti e bassi, annusando la possibilità di nuove sponsorizzazioni.

Nessun compito pedagogico né di propaganda, lo spettacolo della gente comune per la gente comune che nel caleidoscopio dei fatti sociali sceglie quelli più semplici da imporre alla scena collettiva con nuove parole chiave per vecchi ma sempre attuali cliché. L’amore, la famiglia, i figli, il tradimento, il successo, il denaro.

Con la differenza che il follower non deve essere neutrale. Al contrario è chiamato ad essere radicale, di parte, “o con me o contro di me”. Pur al cospetto della vacuità, il follower deve rispondere alla chiamata di rilevanza per costruire la credibilità del mittente e con questo anche la sua (il ricevente).

Il pubblico è coinvolto, il sentimento comunitario – quanto farebbe riflettere tutto ciò sociologi come Tönnies e Weber – l’opinione spettacolarizzata con un’offerta che risponde perfettamente alla domanda di evasione. È questo l’intrattenimento ascendente preparato da anni di televisione spazzatura dove la partecipazione è essere informati e essere informati è essere à la page.

Il mi piace raccolto assurge a sigillo sulla rappresentazione di sé e sull’autostima (Burrow e Rainone, 2017). Il commento non linea con le aspettative suona come narcisisticamente inaccettabile. Eppure, non si può negare al nuovo intrattenimento la sua funzione di socializzazione. Questa, però è sempre più orizzontale, colloquiale, revocabile in ogni momento e a piacimento.

Più una persona presenta una bassa soddisfazione generale rispetto alla propria vita, ai risultati raggiunti, alle emozioni offline, più risulta essere orientata all’odio, all’invidia e al confronto sociale

Dal bambino dai grandi occhioni azzurri che sembra implorare la mamma che continua ad invitarlo a sovra- alimentarsi alla bambina alla quale sembra venga negato il pane – a fare a meno del carboidrato è necessario abituarsi sin da piccoli – non c’è differenza. Abdicate le certezze resta il tanto – di interessi, opinioni, fake – quasi sempre ingovernabile e, dunque, al gusto di libertà.

Attenzione, però, più una persona presenta una bassa soddisfazione generale rispetto alla propria vita, ai risultati raggiunti, alle emozioni offline (Diener et al., 1999), più risulta essere orientata all’odio, all’invidia (Kraut et al., 1998) e al confronto sociale (Kim et al., 2014).

Se anche appare difficilmente misurabile in modalità positivistica, l’attuale anomia sociale e il disagio/malessere diffuso in relazione all’uso dei social per ampi spazi temporali nel corso della giornata, più frequenti – soprattutto nei giovani – sono l’esposizione e la durata della connessione, più elevati sono i livelli di depressione e ansia generalizzata (Banjanin et al., 2015; Farahani et al., 2011; Pantic et al., 2012), con una riduzione significativa delle sensazioni di benessere (anche salute mentale), delle emozioni positive (Kim et al., 2014; Verduyn et al., 2015; Lee et al., 2011; Ding et al., 2011; Lin et al., 2021; Tartaglia e Bergagna, 2021) dell’ansia sociale (Shaw et al., 2015) e della solitudine (Burke et al. , 2010).

Non si dovrebbe commettere l’errore, però, di guardare alla realtà dei social media come ad una sorta di compendio delle disfunzioni della società pensando così di risolvere il polimorfismo e la complessità della realtà sociale. Ciò che ne verrebbe fuori sarebbe soltanto una decodifica semplificata di qualcosa di molto più complesso.

Due indicazioni, però, sembrano chiare.

Una per la politica: usare i social non significa essere più vicini alle persone, magari ascoltarle sarebbe – come anche nella vita offline – più utile e strategico.

L’altra per i tiktoker stessi. Oltre a gongolare sul numero dei loro follower chissà che non farebbero bene a dare credito anche a quelli che non sembrano così aderenti alle loro aspettative in alternativa all’invettiva tesa alla tutela del territorio personale e familiare.

Per Guia Soncini siamo nell’era della suscettibilità e, dunque, tutto ciò non può che presentarsi di gravosa e ardua esecuzione. In un vecchio film in bianco e nero del 1962, che con buona probabilità tanti avventori dei moderni spettacoli online non hanno visto, Totò Diabolicus dice “io ti ho creato, io posso distruggerti”. In entrambi i casi dovrebbe essere il narcisismo a lasciare il passo ma si sa, diabolicamente, incurante di qualsivoglia scomunica, questo torna sempre.

Anna Paola Lacatena è sociologa, giornalista e saggista