La soccorritrice Anabel Montes Mier: «Sulla Geo Barents scorte di cibo a rischio»
Anabel Montes Mier – Screenshot da un video di Local Team
Italia

La soccorritrice Anabel Montes Mier: «Sulla Geo Barents scorte di cibo a rischio»

Mediterraneo «Tanti giorni di attesa senza sapere quando si potrà sbarcare rendono la situazione sempre più difficile. E ora sta arrivando il maltempo»
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 5 novembre 2022

Anabel Montes Mier, 35 anni, è una soccorritrice esperta che dal 2015 partecipa alle missioni nel Mediterraneo centrale. Quando al Viminale c’era Matteo Salvini si è trovata al centro della contesa sulle navi in diverse occasioni. È stata indagata per un soccorso ma le accuse sono state archiviate. Ha partecipato come testimone dell’accusa al processo al leader leghista per il caso Open Arms. «Non ho paura, stiamo facendo la cosa giusta e la legge è dalla nostra parte», dice al manifesto dalla Geo Barents di Medici Senza Frontiere.

Tre anni dopo è di nuovo su una nave con centinaia di naufraghi bloccati al largo. Cosa prova?

Mi sembra assurdo. Le cose sarebbero dovute migliorare invece torniamo a questo punto. Non ha senso il ripetersi di situazioni simili.

A bordo che succede?

Tanti giorni di attesa senza sapere quando si potrà sbarcare rendono la situazione sempre più difficile. Sta arrivando il maltempo e si inizia a notare. Stiamo cercando rifugio, fuori dalle 12 miglia, ma se il mare peggiora aumenterà lo stress delle persone. Si bagneranno. Siamo vicini al limite del cibo. Ne abbiamo sempre grandi quantità ma stavolta il numero dei naufraghi è così grande e l’attesa così lunga che due pasti al giorno per 572 persone dopo 10 giorni mettono a rischio le scorte. La prossima settimana non ne avremo più. La barca può produrre acqua dolce per bere e lavarsi ma vale lo stesso discorso: non basta.

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani vi chiede di identificare i naufraghi. Potete farlo?

Non abbiamo né la capacità né l’autorità. Noi salviamo vite in mezzo al mare, non disponiamo dei mezzi per trovare i nomi delle persone. Qui la situazione è complicata. Tutto il nostro tempo è dedicato a dare assistenza, distribuire acqua e cibo, fare in modo che le persone stiano nella migliore condizione possibile. Pretendere da noi funzioni di polizia è fuori contesto. Facciamo questo lavoro perché c’è una necessità vitale che gli Stati non coprono.

Nel 2018 ha rischiato di andare a processo per il rifiuto di consegnare ai libici 218 persone. Le accuse, poi archiviate, erano gravi: violenza privata e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Perché è ancora in mezzo al mare?

Perché finché delle persone rischiano di morire e non c’è un sistema istituzionale per salvarle è necessario rispondere a un bisogno che è vitale. È stata sempre la mia professione, anche prima di lavorare con le Ong. Non posso accettare di chiudere gli occhi sul fatto che la vita di un essere umano sia a rischio solo per la paura che mi possa accadere qualcosa. Anche perché la legge è dalla nostra parte. Questo lavoro è regolato da norme e convenzioni internazionali precise, per le quali l’omissione di soccorso è un reato penale. So di fare la cosa giusta e non ho paura di nulla.

Perché chiedete il porto all’Italia?

Per l’inazione e l’assoluta mancanza di responsabilità di Malta. Che comunque non ha sottoscritto le stesse norme dell’Italia e ha doveri in parte diversi. Roma ha firmato le convezioni Sar, Solas e gli emendamenti del 2004 che la obbligano a indicare un porto di sbarco.

La destra descrive i soccorritori come trafficanti o addirittura pirati. Cosa significa a livello personale?

Mi è indifferente qualsiasi accusa o insulto da chi accetta che delle persone possano perdere la vita. Non rispondo a questi argomenti assurdi. Ho lavorato nei soccorsi in mare sulle spiagge, con gli elicotteri e poi sulle navi. Non cambia nulla di quello che faccio in base al posto. Mi ferisce solo se arriviamo tardi, se sappiamo che è avvenuta una tragedia, se non siamo riusciti ad aiutare delle persone.

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