L’elezione di Elly Schlein alla segreteria del Pd, nel panorama politico dato dalle destre al governo, rappresenta un fatto politico significativo per il paese. Basta usare la regola transitiva per capirlo. Se cambia il Pd allora cambia l’ opposizione al governo, se cambia l’opposizione al governo allora c’è una seria possibilità di cambiare la politica italiana. Il vero problema del Pd e quindi del paese è che, a causa delle sue enormi contraddizioni politiche, non è stato in grado di assicurare al paese una credibile e efficace opposizione.

Un esempio di scuola è quello della sanità pubblica. La neo segretaria Schlein nel suo discorso, dopo la sua affermazione alle primarie, si è scagliata giustamente contro i tagli lineari e la privatizzazione in sanità riabilitando così quei valori che il Pd aveva svenduto alle logiche neoliberiste(universalità e pubblicità).

Del suo discorso non mi ha colpito tanto la contrapposizione al governo ma la contrapposizione, tutt’altro che scontata anche se implicita, con il segretario uscente Letta, cioè con le vecchie politiche del suo partito. Proprio Letta, quando era il ministro “ombra” del welfare (segreteria Veltroni) e poi nel periodo della segreteria Franceschini, in veste di responsabile nazionale welfare del Pd, organizzò un convegno storico “Persona, famiglia, comunità”, verso la Conferenza Nazionale sul Welfare del Pd (27 e 28 novembre 2009). In quell’occasione dichiarò ai quattro venti che la sanità pubblica andava privatizzata parlando esplicitamente di “un pilastro privato complementare”. Fu Letta, allievo di Andreatta, che dopo le controriforme degli anni ‘90 avallò il sistema multi-pilastro proposto da Sacconi, ministro del governo Berlusconi.

Come potrebbe il partito della privatizzazione opporsi ai processi che oggi in sanità ci stanno portando alla rovina? Come può Schlein fare opposizione al governo se quello che propone la presidente del consiglio Meloni è sulla stessa linea dell’ex segretario del Nazareno?

Per fare quello che Schlein propone è necessario prima di tutto destrutturare la privatocrazia della sanità che ormai si è affermata come sistema e poi ricostruire la titolarità del pubblico. Ma questo non si può fare se la giovane segretaria, un po’ come nella tragedia greca (penso soprattutto a Sofocle), non accetta il destino ineluttabile di uccidere il padre.

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Paradossalmente oggi la lotta contro la privatizzazione della sanità può contare sull’aiuto della crisi, assai efficacemente descritta dall’Ocse. Una crisi che, sia la dottrina del “pilastro complementare” che quella della “grande marchetta”, non avevano previsto. Oggi, dice l’Ocse, i costi della privatizzazione a carico dello Stato mettono a rischio la sostenibilità del sistema. In altri termini, oggi sono i costi effettivi della “grande marchetta” e del “pilastro complementare”, il vero problema.

Queste controriforme di fatto hanno gonfiato la spesa privata a carico del pubblico, quindi hanno reso il pubblico nel suo insieme sempre più insostenibile. Di conseguenza, siamo di fronte alla classica contraddizione tra gli interessi capitalistici descritta da Marx. La privatocrazia non è solo una contraddizione morale perché non garantisce la qualità della cura come il pubblico, ma è un ostacolo economico dal momento che proprio suoi costi sono brutalmente incompatibili con la crisi.

Tanto la scuola della “grande marchetta” che quella del “pilastro complementare” rispetto alla privatizzazione hanno sempre pensato che la spesa pubblica fosse una inesauribile mucca da mungere e che quindi la privatizzazione fosse di fatto un processo irreversibile il cui costo fosse eternamente scaricabile sullo Stato. Si sbagliavano. La pacchia è finita. Crolla il presupposto, la base del neoliberismo in sanità e cioè che il privato serve a garantire la sostenibilità del sistema.

Sarebbe il momento giusto, tra Marx e Sofocle, per assumere una iniziativa nella forma di una conferenza programmatica straordinaria per ridare alla sanità pubblica il ruolo che merita.