La rivolta contagia Bogotà: sciopero nazionale riuscito
Colombia Una mobilitazione senza precedenti - conclusasi con un diffuso e assordante rumore di pentole, il ben noto cacerolazo - a cui hanno preso parte organizzazioni indigene, movimenti sociali, partiti di opposizione, compresa la Farc, il partito dell'ex guerriglia
Colombia Una mobilitazione senza precedenti - conclusasi con un diffuso e assordante rumore di pentole, il ben noto cacerolazo - a cui hanno preso parte organizzazioni indigene, movimenti sociali, partiti di opposizione, compresa la Farc, il partito dell'ex guerriglia
Come un contagio, la rivolta si estende da un lato all’altro dell’America latina, seminando paura (per los de arriba, quelli che stanno in alto) e speranza (per los de abajo, quelli che stanno in basso). Che sia per un risveglio della coscienza rivoluzionaria o solo per esasperazione, è in ogni caso contro l’oppressione economica e la sistematica violazione di ogni diritto che si alza alto e forte il grido dei popoli.
È successo anche in Colombia, dove giovedì centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza, a Bogotà ma anche a Cali e a Medellín, in occasione dello sciopero nazionale proclamato dalle principali organizzazioni sindacali e studentesche contro il paquetazo del presidente Iván Duque: un micidiale pacchetto di misure che prevede, tra l’altro, la riforma del lavoro e quella delle pensioni, il taglio delle imposte alle grandi imprese, la privatizzazione del settore finanziario, l’aumento delle tariffe dell’energia elettrica, l’impunità per i responsabili di atti di corruzione, la restrizione del diritto alla protesta sociale.
Una mobilitazione senza precedenti – conclusasi con un diffuso e assordante rumore di pentole, il ben noto cacerolazo – a cui hanno preso parte organizzazioni indigene, movimenti sociali, partiti di opposizione, compresa la Farc, il partito dell’ex guerriglia, e che si è estesa poi anche ad altre rivendicazioni, come quelle in sostegno al processo di pace e contro le stragi di leader sociali, di dirigenti indigeni e di ex combattenti.
«Oggi i colombiani hanno parlato. Li stiamo ascoltando», ha dichiarato il presidente, suscitando un’immediata sensazione di déjà-vu: più o meno le parole pronunciate in Cile da Piñera, e si sa con quale risultato. E, proprio come in Cile, è subito scattata la repressione da parte delle forze di sicurezza, con un bilancio di tre morti e di 273 feriti, secondo quanto reso noto dal ministro della Difesa Carlos Holmes Trujillo. Sotto accusa, ancora una volta, gli agenti dell’Esmad, lo Squadrone Mobile Antisommossa della polizia colombiana già tristemente noto per la violenta repressione delle marce studentesche dell’inizio dell’anno. Ma non è finita qui.
«Chiediamo a tutti i cittadini di essere pronti a intraprendere ulteriori azioni», hanno dichiarato gli organizzatori della protesta. E già all’indomani dello sciopero un nuovo cacerolazo di massa è stato annunciato nelle principali piazze del paese.
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