Un fascicolo modello 45, «conoscitivo», cioè senza ipotesi di reato né indagati. Dietro l’accapigliarsi sui social e le immancabili interrogazioni parlamentari, al momento, l’unico elemento certo sulla morte di Giovanna Pedretti è il lavoro che sta facendo il procuratore di Lodi Maurizio Romanelli: acquisire informazioni, capire qualcosa di più della dinamica del fatto. C’è una Fiat Panda rossa sequestrata e tenuta in custodia dai carabinieri. La donna, il cui corpo è stato ritrovato su una delle sponde del Lambro, avrebbe viaggiato da sola a bordo dell’auto e, a quanto si apprende, la tappezzeria è macchiata di sangue. Nei prossimi giorni saranno ascoltati gli amici e i parenti, alla ricerca di una spiegazione per l’inspiegabile: colpa della gogna social? Oppure c’erano problemi pregressi? Grandi battibecchi, intanto, sulle presunte responsabilità di chi ha smontato la storia della celebrata indignazione della signora Pedretti, titolare della pizzeria Le Vignole di Sant’Angelo Lodigiano, che aveva risposto per le rime alla recensione di un cliente omofobo e abilista. Recensione che però forse era falsa. Da lì la prima ondata di indignazione social (e non solo), oltre a una convocazione della donna da parte della polizia giudiziaria, che ipotizzava il reato di istigazione all’odio.

INTORNO c’è tanto rumore. Sul banco degli imputati per il (vero o presunto) massacro mediatico di Giovanna Pedretti ci sono il Tg3 – «Ha trattato la notizia come lo scandalo del secolo», attaccano dalla Lega -, Selvaggia Lucarelli e il suo compagno Lorenzo Biagiarelli (ieri assente dalla trasmissione «È sempre mezzogiorno» di Antonella Clerici, dove è ospite fisso), che per primi si sono messi a fare le pulci alla storia della ristoratrice che combatte l’odio sui social. L’accusa,  sottintesa, era di essersi inventata tutto per visibilità e, forse, pure per un ritorno economico. Un po’ troppo per una storia così tanto piccola. E però tanti, su Facebook, su X, su Instagram, su Threads si erano scatenati, scrivendone anche di pesantissime. Storie e polemiche che sono destinate a durare lo spazio di pochi giorni, di solito.

Il problema è quando ci si finisce in mezzo. Fiorina D’Avino, la figlia di Pedretti, non ha dubbi nel collegare la shitstorm all’estremo gesto di sua madre: «L’accanirsi è pericoloso. Grazie cara signora – scrive rivolgendosi a Selvaggia Lucarelli – per aver massacrato per via mediatica la mia mamma. Cerchi pure la sua prossima vittima». Lucarelli, dal canto suo, si è difesa, sempre sui social: «Per la cronaca, la gogna di cui qualcuno sta parlando, è stata: un servizio di un tg, un post sui social, una storia su Instagram. La signora non è stata sommersa da insulti, ma non si riesce mai a raccontare la verità». Seguono altri post in cui si contesta chi contesta il debunking in sé e per sé: «In pratica, siamo arrivati al punto che dare una notizia non è più una responsabilità. Correggerla sì».

NELLA LITIGATA si è presto inserito anche il vicepremier Matteo Salvini, uno che di linciaggi social se ne intende, secondo il quale la sinistra (parte alla quale Lucarelli sarebbe iscritta d’ufficio) è «spietata con i deboli». E la polemica è salita fino a toccare anche la Rai. Si parla di «deriva etica» del servizio pubblico, si raccomandano «profonde riflessioni», si domanda «dove sia finito il buonsenso», si intima di «prendere posizione». E si tirano in ballo il Cda e l’ordine dei giornalisti. Tutto questo avviene nelle ore immediatamente successive a un suicidio, tema che per dovere deontologico i cronisti dovrebbero trattare nella maniera più sobria possibile, senza indugiare nei particolari e, soprattutto, senza mettersi a cercare eventuali ragioni e possibili cause. E invece sembra di stare in mezzo alla versione true crime della Lotteria di Shirley Jackson, l’impressionante racconto di un’estrazione a premi in cui chi possiede il biglietto vincente viene lapidato.