La risposta di Mosca piove su un palazzo a Kharkiv
Il limite ignoto Bombardamenti vicino al fronte, subito dopo il sì americano a colpire il territorio russo
Il limite ignoto Bombardamenti vicino al fronte, subito dopo il sì americano a colpire il territorio russo
Intorno a mezzanotte la stanza al piano di sotto si anima con i rumori dei militari in licenza. Musica dai cellulari, brindisi, risa da ubriachi e poi le urla degli amplessi delle prostitute che trafficano giorno e notte intorno all’hotel. Proprio mentre la piccola via sterrata si riempie di gemiti ritmati si sente il primo boato. Le urla si interrompono e lo sportello di ferro della cassetta di sicurezza in camera si apre di scatto e inizia a vibrare. Si sente il vicino di stanza, un fotografo francese di 60 anni, che si veste in fretta e si precipita giù dalle scale. Una seconda botta, molto forte anche questa e all’apparenza vicina. I canali Telegram cittadini che danno le informazioni sull’attività aerea sopra la città scrivono che il pericolo è passato. Scendo in cortile a fumare una sigaretta.
IN CORRIDOIO, seduta su una sedia attaccata al muro c’è l’altra vicina: una donna inglese magrissima e attempata con gli occhiali dalla montatura verde fosforescente. Più volte al ristorante dell’hotel ha provato a ordinare un bicchiere di vino e si è vista rifilare un’intera bottiglia – che in ogni caso non ha mai rifiutato. Mi siedo sulla panchina in cortile. Dalla reception esce una delle ragazze che gestiscono l’hotel. «Come stai?» mi chiede trafelata. «Bene. E tu?». Trattiene le lacrime a stento e corre in cantina. Una terza esplosione, per fortuna la ragazza era già dentro. Rientro anch’io, saluto la signora che è nella stessa posizione di prima e inizio a salire le scale. Ma un involontario rimorso di coscienza mi spinge a dirle qualcosa. «Li lasci perdere tutti quei canali Telegram» le dico con il sorriso più rassicurante che riesco a rivolgerle. «Hanno condannato Trump, è molto interessante» risponde lei. Finalmente, dopo averla vista di sfuggita per giorni, le chiedo cosa fa. «Sono qui con una Ong che sta costruendo una scuola in un rifugio a Izyum». In che senso in un rifugio? «Sottoterra, così i bambini possono andarci qualsiasi cosa succede. Sai, non gli fa bene non andare a scuola per così tanto tempo, finisce che si isolano su internet». È la sua ultima notte qui, domani torna a Londra dopo tre settimane di bombardamenti a Kharkiv, «le grand final» mi dice con un sorriso forzato. Una nuova esplosione e quasi le cade il telefono. «Non si preoccupi» le dico, «qui intorno non c’è nulla da colpire». «Lo so, è che sembrano così vicini». Una quinta esplosione, la più forte di tutte, fa tremare anche i vetri dell’hotel. Veniamo distratti da un capitombolo sulle scale. Appare il fotografo francese, che non avevo sentito rientrare. «Ho l’indirizzo» dice, «andiamo». «Attenti ragazzi», raccomanda la signora inglese, «io vi aspetto proprio qui».
IL GPS NON DÀ nessun segnale, dobbiamo orientarci completamente al buio, ma il punto sulla mappa è davvero vicino. Arriviamo mentre i pompieri stanno posizionando le scale. Il palazzo colpito non ha più gli ultimi due piani, al loro posto una densa colonna di fumo. A terra il corpo di un uomo seminudo. È prono, con il cranio sfondato da un grosso calcinaccio. La corrente è completamente saltata, si fa tutto con le torce. Una di queste punta una signora molto grassa che agita i piedi dalla finestra cercando di appoggiarli sulla scala che le tengono da terra. Dal terzo piano è alto, ma dentro il suo appartamento c’è un pompiere che prima l’aveva imbragata con una corda e ora la tiene mentre scende. La scala oscilla paurosamente sotto il peso della donna che alla fine arriva a terra sana e salva. Rischia di cadere, invece, un ragazzo che si tiene alla scala con una sola mano e nell’altra ha una coperta. Penso che stia portando un neonato e invece quando arriva giù vediamo che si tratta di due gattini. Impreca talmente tanto che la faccia gli trema. Un poliziotto lo convince ad allontanarsi dicendo solo «da da» e dopo poco rivedo il ragazzo seduto sull’ambulanza con lo sguardo nel vuoto e i gattini sempre in braccio. Per terra ci sono detriti di ogni materiale, forma e dimensione, è difficile anche camminare.
QUALCUNO FA indietreggiare i fotografi per coprire il cadavere con una coperta isotermica mentre il capo della polizia di Kharkiv arriva e distribuisce strette di mano a tutti. Dalla strada principale entra la ruspa e inizia a liberare il vialetto sterrato. Il lavoro sarà lungo e durerà ancora per ore, mentre questo pezzo va in stampa si scava ancora e il bilancio provvisorio è di 6 morti e 25 feriti. Fino all’ultimo i pompieri sembrano avere sempre la speranza di trovare un ferito sotto le macerie. Lavorano senza sosta e con vero sprezzo del pericolo. Se i russi dovessero attaccare di nuovo nello stesso punto, quello che in gergo si chiama double tap (doppio colpo, ndr), noi avremmo la possibilità di correre via mentre chi è dentro sarebbe in trappola. Intanto dei funzionari hanno sistemato due tavoli da campeggio e compilano fogli, raccolgono generalità e testimonianze dei residenti. Molti di questi piangono o urlano isterici.
RIPARTIAMO e in macchina il collega francese dice «all’inizio pensavo che avessero colpito la stazione ferroviaria». «Mi sono chiesto un sacco di volte perché non l’hanno mai fatto finora» gli rispondo. «Oh, questo per me resta uno dei grandi misteri di questa guerra». La signora inglese non è più sulla sua sedia in corridoio e con il collega ci diamo la buonanotte in fretta. Appena rientro in camera sento i vicini della stanza di sotto, ancora ubriachi e rumorosi, che ricominciano blandamente. Prima di addormentarmi, mentre dalla finestra il cielo inizia a tingersi di blu nel primo vero momento di quiete della nottata, leggo che Biden ha autorizzato l’Ucraina a colpire il territorio russo con le armi statunitensi. Ora sì, questa nottata forse si spiega.
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