La rinascita del museo Sursock
Intervista Un incontro con la neo-direttrice dell'istituzione di Beirut (all'indomani della riapertura dopo i fatti del 2020), che conserva una grande collezione e per il futuro si apre all'arte contemporanea
Intervista Un incontro con la neo-direttrice dell'istituzione di Beirut (all'indomani della riapertura dopo i fatti del 2020), che conserva una grande collezione e per il futuro si apre all'arte contemporanea
Se l’arte faccia o meno la differenza in periodi di crisi profonda è la domanda a cui prova a dare una risposta la neo-direttrice Karine El-Helou del museo Sursock, riaperto al pubblico a giugno dopo i danni dovuti alla terribile esplosione al porto del 4 agosto 2020.
Profilo internazionale, classe 1984, master alla Sorbona, è sempre a Parigi come collection manager per il presidente della Fondazione Cartier e poi a Londra come curatrice al Sotheby’s Institute of Art. Nel 2015 fonda la piattaforma no profit Studiocur/art a Parigi. Karine El-Helou arriva alla direzione di uno dei musei più importanti del territorio il 4 ottobre 2022, in un momento particolarmente duro per il Libano.
Il 17 ottobre 2019 è l’inizio della thaura, la rivolta che vede milioni di manifestanti pacifici nelle strade di Beirut e di tutto il Libano: comincia ufficialmente l’inesorabile discesa verso la crisi economico-finanziaria più violenta della storia del paese. Il governo si dimette, a marzo 2020 viene dichiarata insolvenza. La lira libanese, agganciata al dollaro al cambio di circa 1500 lire (solo da pochi mesi ricondotta a quindicimila circa) perde valore fino a essere scambiata a centocinquantamila per dollaro.
La rivolta diventa a gennaio 2020 violenta e ci sono scontri con l’esercito. Poi il covid e l’esplosione al porto che distrugge mezza città e provoca circa 250 vittime e settemila feriti.
Una classe politica clientelare e corrotta, la stessa che ha messo in ginocchio il Libano, tiene tutt’oggi il paese in ostaggio. Non ha ancora trovato un accordo per rimpiazzare l’uscente (ottobre ’22) presidente Aoun, tantomeno quello su un nuovo governo dopo le elezioni (maggio ’22), bloccando nei fatti gli aiuti internazionali già stanziati per il paese. E intanto è in atto una delle più grandi diaspore della storia del Libano, assimilabile a quella della guerra civile (1975-90).
Questo lo scenario nel quale riapre il museo Sursock grazie alle donazioni dell’ambasciata italiana (un milione di euro), di quella francese (500mila euro), di Aliph – Alleanza internazionale per la protezione del patrimonio nelle aree di conflitto (500mila dollari).
Il palazzo, che si erge nel cuore della capitale sulla collina di Achrafieh, viene terminato nel 1912 e rappresenta uno dei simboli dell’architettura libanese con le sue caratterizzanti influenze veneziane e ottomane. Si tratta della residenza privata di Nicolas Sursock – discendente di una delle famiglie aristocratiche più importanti dell’impero ottomano imparentata tra gli altri con i Colonna, sposo di Vittoria Serra di Cassano – lasciata in eredità alla città di Beirut alla sua morte nel 1952 assieme alla sua collezione privata che conta 5mila opere tra quadri, sculture, ceramiche, iconografie, vetrate del XVII, XIX e XX sec. Il museo verrà inaugurato nel 1961 e da allora rimarrà un punto di riferimento assoluto per l’arte moderna e contemporanea regionale e internazionale.
La collezione vanta anche due dipinti attribuiti recentemente dal critico Buchakjian ad Artemisia Gentileschi: Ercole e Onfale (primi anni ’30 del ’600) e Maddalena penitente (1640 ca)
Uno dei problemi culturali e politici principali del Libano è concordare su una memoria condivisa e su una storia comune. La guerra civile ha segnato questo percorso di identificazione in un passato uniformemente accettato. Un museo è il luogo per eccellenza della memoria e dell’eredità…
La domanda è complessa e non è possibile rispondere in poche righe. Tuttavia posso affermare che stiamo lavorando su programmi pubblici che mettano assieme rappresentanti della società civile perché riflettano sugli eventi. Il 6 luglio scorso, ad esempio, abbiamo ospitato alcuni studiosi per discutere sul tema della periodizzazione nella scrittura cronologica degli eventi storici.
Qual è l’impatto sociale che si prefigge in un momento così cruciale per il paese? Crede che l’arte possa non solo sopravvivere, ma essere una fonte nutriente per il Libano?
Certo. Sono convinta che l’arte abbia un ruolo fondamentale nello sviluppo del pensiero critico e che sia uno spazio sicuro in cui i cittadini possono incontrarsi ed esprimere liberamente i propri pensieri. Siamo in «modalità crisi»: avere uno spazio sicuro da visitare e dove fermarsi, ristorarsi, è essenziale.
Moltissimi artisti hanno dovuto lasciare il paese per via della crisi economica. Crede che Sursock possa rappresentare un luogo dove non solo il passato sia preservato, ma dove presente e futuro abbiano una possibilità concreta?
Il compito del museo è preservare, conservare ed esporre l’arte libanese. Abbiamo una collezione incredibile di opere, ma una delle missioni chiaramente espresse è quella di esporre artisti viventi. Ci sono possibilità concrete per gli artisti contemporanei. E, in aggiunta, siamo lo spazio artistico più visitato in Libano con 100mila persone all’anno.
Quali sono i piani futuri? Come intende distinguere il suo operato da quello dei suoi predecessori?
Abbiamo moltissimi progetti e il nostro obiettivo è avere un impatto sociale forte. Moltiplicheremo le collaborazioni e mi auguro che questo periodo sia ricordato come una rinascita, una riconnessione tra la città, il paese e i suoi abitanti.
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