Sei alberi tagliati, sei persone ferite e una cicatrice politica non facile da ricomporre. È questo il bilancio dell’infinita giornata di ieri al parco Don Bosco, Bologna, proprio di fronte alle torri brutaliste che ospitano la Regione Emilia-Romagna. La tensione nel quartiere covava da tempo.

Il parco Don Bosco è un fazzoletto di terra ricco di alberi. Di fronte vi sorgono le scuole medie Besta, i cui edifici – costruiti nel 1982 – sono da tempo in crisi perché antiquati e non antisismici. Si è deciso di costruire una nuova sede per l’istituto proprio nel parco – riducendo però di molto l’area verde e tagliando diverse decine di alberi. Tra i residenti è nato un comitato contrario ai lavori. Con loro l’ecologismo bolognese – da Legambiente a Fridays For Future – e il mondo dei collettivi studenteschi. Ma non l’amministrazione comunale.

Ieri la giornata cruciale, la prima di molte. «Dalle cinque del mattino hanno iniziato ad accorrere manifestanti. All’inizio eravamo una quarantina, alla fine più di duecento» ci racconta una giovane attivista. «Verso le otto arrivano le forze dell’ordine, uno schieramento imponente. Pochissimo spazio per il dialogo, iniziano presto a caricare. C’è chi si è fatto male, manganellavano un po’ a caso. Un signore anziano è stato portato in ospedale per i colpi presi al braccio».

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La tensione e le cariche sono andate avanti per gran parte della mattinata. Ad un certo punto gli agenti hanno preso il controllo di una buona porzione del parco e, tra le urla indignate e gli applausi sarcastici del presidio, sono iniziati gli abbattimenti. I primi alberi sono andati giù. Poi la situazione prende una svolta inaspettata. «Alcuni manifestanti sono riusciti a entrare nell’area transennata – qualcuno persino dalle fronde. Si sono aperti dei varchi. Lì i lavori si sono fermati». La giornata finisce in pareggio: alcuni alberi sono persi, ma il presidio non è sgomberato. L’umore dei manifestanti a fine giornata non è dei peggiori, ma tutti temono che le scene di ieri si ripetano nelle prossime settimane.

Di certo c’è che la storia del piccolo parco Don Bosco è esemplificativa del complesso rapporto tra l’amministrazione comunale di centrosinistra guidata dal sindaco Matteo Lepore e l’ecologismo cittadino. Da un lato la giunta ha puntato molto sulle politiche ecologiche: limite orario ai 30 all’ora, prima linea del tram in costruzione, adesione al programma europeo delle città campioni del clima con l’obiettivo di raggiungere le zero emissioni nette entro il 2030. Dall’altra Bologna – città di suo eccezionalmente attiva politicamente – brulica di comitati contro la cementificazione.

Il vero punto di scontro è il cosiddetto passante, l’allargamento autostradale che, oltre a cementificare terreno vergine, aumenta gli spazi per quelle macchine che dovrebbero essere via via abbandonate. Ma anche la costruzione del tram – che peraltro interessa marginalmente proprio il parco Don Bosco – e altri progetti minori come le scuole Besta fanno sì che più di un’area verde della città sia oggetto di scontro politico.

«L’amministrazione che si dice più progressista d’Italia pensa che invece di parlare devono parlare i manganelli. Questo è il risultato dell’amministrazione Lepore-Clancy» è il commento di Gianni de Giuli del comitato Besta ai microfoni di Bologna Today. «Bastava sposare uno dei principi della legge regionale sul consumo di suolo: la rigenerazione urbana. Potevamo salvare il parco, la scuola e l’aria che le persone respirano rigenerando la scuola che c’è» aggiunge Nino Pizzimenti di Legambiente.

I verdi in consiglio comunale, da tempo in rotta di collisione con la maggioranza, sono ancora più duri: «La giornata di oggi segna uno spartiacque tra passato e futuro» scrivono su Facebook, «l’attuale amministrazione rappresenta un passato che non dimenticheremo. Da oggi inizia la costruzione di un futuro migliore in cui non si dovrà più assistere alle scene vergognose avvenute questa mattina di fronte ai bambini che entravano a scuola».