La questione agraria al centro di un conflitto in cerca di soluzione
Colombia Tra neoliberismo e paramilitari
Colombia Tra neoliberismo e paramilitari
La vita dei contadini, in Colombia, può valere meno di zero. Anche in presenza di un diritto stabilito per legge come quello a rientrare in possesso dei propri terreni, sottratti o abbandonati a seguito del conflitto armato (oltre 6 milioni di vittime). La Ley de Victimas y Restitucion de Tierras è entrata in vigore nel 2001. E il governo di Manuel Santos, in vista delle prossime elezioni presidenziali del 25 maggio si vanta di aver risarcito – dall’inizio del mandato di Santos, iniziato il 7 agosto del 2010 – oltre 350.000 persone, comprese 8992 vittime di espulsioni forzate.
Ma la realtà è molto lontana dalla propaganda. Qualche giorno fa, anche la Comision Intereclesial de Justicia y Paz ha denunciato il persistere delle minacce da parte di individui armati che difendono gli interessi di latifondisti e imprenditori, ladri di terre. «Il grande problema che abbiamo – ha dichiarato alla stampa Ariel Avila, coordinatore dell’Observatorio de la Fundacion Paz y Reconciliacion – è che le strutture criminali, nate dopo la smobilitazione dei paramilitari continuano a mantenere forti legami con le forze militari e con i politici locali, e hanno sempre una grande influenza. Quel che succederà è che questo processo di restituzione delle terre sarà un fallimento o finirà per legalizzare tutto quello che è stato sottratto come già sta accadendo in alcune zone del paese».
Santos cerca di scongiurare un altro sciopero dei contadini come quello scoppiato nell’estate dell’anno scorso contro le misure neoliberiste del suo governo, e durato mesi. Diverse organizzazioni contadine che avevano accettato di negoziare la fine di quello sciopero, ora chiedono il compimento di quegli accordi. Quelle che invece non avevano creduto alle promesse, si sono nuovamente fatte sentire. E tutte hanno minacciato un altro sciopero a oltranza per il 28 aprile.
Sulla questione agraria, Santos cerca di capitalizzare l’importante accordo concluso all’Avana con la guerriglia marxista delle Farc: il primo di cinque punti in agenda che dovrebbero preludere a una soluzione politica del conflitto armato, in atto dal ’64. Un conflitto causato dalle profonde storture e disuguaglianze esistenti nel paese, che hanno finora reso impossibile un vero spazio in sicurezza per l’opposizione.
Raccogliendo le istanze provenienti dalle organizzazioni popolari, le Farc (che il 27 maggio compiranno 50 anni di esistenza) chiedono la piena sovranità dei contadini sulle terre, occupate per quasi 40 milioni di ettari (un terzo del territorio nazionale) dai latifondi per l’allevamento del bestiame. L’accordo concluso dovrebbe arrestare il trasferimento delle terre alle multinazionali e garantire una effettiva ridistribuzione dei campi nelle zone rurali. Un progetto che si oppone all’espansione minerario-energetica, minaccia all’equilibrio ambientale e alla sostenibilità dell’economia. Una visione opposta ai trattati di Libero commercio firmati dalla Colombia e alla pretesa di stabilire il «diritto reale di superficie», che prevedono una terra senza contadini, a vantaggio delle multinazionali.
Il 5 maggio è previsto anche il vertice dei contadini indigeni e afrodiscendenti. Vi saranno delegazioni provenienti da tutti i paesi dell’America latina, ove i contadini vivono realtà diverse a seconda del grado di rappresentanza reale ottenuta a prezzo di durissime lotte. Nei paesi in cui hanno portato al governo le istanze che scommettono sul Socialismo del XXI secolo, hanno ottenuto diritti e sovranità. Laddove imperano ancora le destre, come in Paraguay, in Guatemala o in Honduras, continuano invece a morire: di fame o di pallottole.
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