G20, dichiarazione finale annacquata: «Lotta alla fame»
Rio de Janeiro Si è concluso ieri il vertice in Brasile. Neanche Javier Milei boccia le risoluzioni che prevedono generiche tasse ai super ricchi
Rio de Janeiro Si è concluso ieri il vertice in Brasile. Neanche Javier Milei boccia le risoluzioni che prevedono generiche tasse ai super ricchi
È un trionfo di genericità la dichiarazione finale del vertice del G20 che si è concluso ieri a Rio de Janeiro. Non che ci fossero, in realtà, molte alternative: se il contenuto fosse stato appena appena più concreto e più vincolante, il documento non sarebbe mai stato approvato per consenso. E invece così tutti i capi di stato riuniti in Brasile hanno potuto dirsi «risoluti» nel loro «impegno a combattere la fame, la povertà e la disuguaglianza, a promuovere lo sviluppo sostenibile nelle sue dimensioni economica, sociale e ambientale e a riformare la governance globale».
Chi avrebbe potuto bocciare tali lodevoli intenzioni? Neppure Milei, salutato al suo arrivo da Lula in maniera decisamente gelida, se l’è sentita. Cosicché, alla fine, ha deciso di non bloccare la dichiarazione, esprimendo però chiaramente le sue divergenze rispetto al testo, dalla tassa sui super-ricchi che, a suo dire, comporterebbe «una disparità di trattamento davanti alla legge», fino all’Agenda 2030 delle Nazioni unite. «La maggior parte dei governi moderni, per malizia o ignoranza, insiste – ha detto – sull’errore secondo cui per combattere la fame e la povertà è necessario più intervento statale e più pianificazione centralizzata dell’economia». Mentre, a suo giudizio, «ogni volta che uno Stato ha avuto una presenza al 100% nell’economia», il risultato «è stato l’esodo sia della popolazione che del capitale e milioni di morti per fame, freddo o crimini».
Sulla tassazione dei miliardari, peraltro, non è che la dichiarazione si fosse spinta fino a chissà quale punto, limitandosi ad assumere, come già avvenuto lo scorso luglio, l’impegno «a garantire, nel totale rispetto per la sovranità tributaria, che individui dal patrimonio liquido estremamente alto siano effettivamente tassati», senza alcuna allusione concreta a un’imposta globale sui super-ricchi come chiedeva invece il presidente Lula.
Per il resto, nei suoi 85 paragrafi, il testo ribadisce l’obiettivo – comunque ormai irraggiungibile – di contenere il riscaldamento della temperatura globale entro un grado e mezzo come previsto dall’Accordo di Parigi (auspicando, ma nulla di più, che i negoziati alla Cop 29 a Baku sul finanziamento climatico si concludano positivamente), come pure l’impegno a intensificare gli sforzi per azzerare le emissioni entro la metà del secolo. Né manca il riferimento alla necessità di rafforzare il multilateralismo, in un momento in cui l’elezione di Trump sembra spingere il mondo in tutt’altra direzione.
Nessuna condanna esplicita delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente, come ampiamente previsto a causa dei veti incrociati dei diversi paesi: la dichiarazione non va oltre la «profonda preoccupazione per la situazione umanitaria catastrofica nella Striscia di Gaza e per l’escalation in Libano» – con un richiamo a favore di un cessate il fuoco e l’accento sulla necessità di rafforzare l’assistenza umanitaria – e l’appoggio a «tutte le iniziative rilevanti e costruttive a sostegno di una pace duratura» in Ucraina. Un punto, quest’ultimo, che ha però sollevato le obiezioni di Macron, contrariato che il testo non abbia citato l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
È stato incluso nella dichiarazione finale anche il lancio dell’Alleanza globale contro la fame e la povertà – considerato il successo più importante della presidenza brasiliana del G20 -, a cui hanno aderito 82 paesi, tra cui, a sorpresa, dopo un iniziale rifiuto, persino l’Argentina.
In sostegno all’Alleanza globale si è espresso peraltro anche il papa, evidenziandone il possibile impatto profondo «sugli sforzi per combattere la fame e la povertà» e ricordando la proposta della Santa Sede di re-indirizzare verso un fondo globale i soldi investiti nelle armi. Un’idea simile a quella della presidente messicana Claudia Sheinbaum, la quale ha proposto di destinare l’1% delle spese militari del G20 a un programma di riforestazione globale.
Senz’altro più incisivo della dichiarazione finale è stato comunque il discorso del presidente Lula, il quale, intervenendo alla seconda sessione del vertice, ha evidenziato il fallimento del modello di globalizzazione neoliberista, riconducendo alle disuguaglianze da esso prodotte «l’odio, l’estremismo, la violenza e le minacce alla democrazia».
«La risposta alla crisi del multilateralismo è più multilateralismo. Non dobbiamo aspettare una nuova guerra mondiale o un collasso economico per promuovere le trasformazioni di cui l’ordine internazionale ha bisogno», ha dichiarato, non senza criticare le «omissioni» e l’«uso indiscriminato del veto» all’interno del Consiglio di sicurezza Onu come pure l’«apologia dello Stato minimo» dopo la crisi dei subprime del 2008, quando, ha detto «scegliemmo di salvare le banche invece di aiutare le persone, di salvare il settore privato invece di rafforzare lo Stato».
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