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La prova di golpe puzza di petrolio

Usa/Venezuela Con la cessazione delle esportazioni petrolifere verso gli Stati uniti, la Cina e l’ India, come avverte l’agenzia Bloomberg sono pronte a farsi avanti per acquistare a buon prezzo il petrolio di Nicolás Maduro. Anche la Corea del sud. Grandi paesi affamati di energia. E in competizione, aperta o latente, con gli Usa. Anche per questo Donald Trump sta puntando il tutto per tutto per sbarazzarsi di Maduro

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 25 gennaio 2019

È per il petrolio e sul petrolio che si gioca l’incauta sfida lanciata da Donald Trump al governo di Caracas. Le raffinerie statunitensi sono le clienti principali del grezzo venezuelano. E sarà sempre più evidente se la tensione, come sembra, dovesse innalzarsi, tra Washington e Caracas.

Perché, con la cessazione delle esportazioni petrolifere verso gli Stati uniti, la Cina e l’ India, come avverte l’agenzia Bloomberg sono pronte a farsi avanti per acquistare a buon prezzo il petrolio di Nicolás Maduro. Anche la Corea del sud. Grandi paesi affamati di energia. E in competizione, aperta o latente, con gli Usa.

Anche per questo Donald Trump sta puntando il tutto per tutto per sbarazzarsi di Maduro. Per portare i flussi petroliferi verso gli Stati uniti e arrivare a impadronirsi, di fatto, dei pozzi. E per tagliare le forniture verso i paesi che considera avversari.

Peraltro, il Venezuela è tra le grandi potenze petrolifere mondiali – nel 2019 è il presidente di turno dell’Opec – e, pertanto, ogni variazione significativa della sua produzione e delle sue esportazioni ha più che evidenti riflessi sul già instabile mercato mondiale del greggio.

Anche per questo, per il momento almeno, l’arroganza di Trump non s’è spinta fino al punto di non cogliere le conseguenze, innanzitutto per la stessa economia statunitense, di un’escalation incontrollata, dall’esito non necessariamente positivo per gli Usa, del conflitto aperto con Caracas, tanto che non ha ancora bloccato l’export verso il Venezuela dei prodotti americani per diluire il denso petrolio venezuelano, né l’import verso le raffinerie statunitensi.

A dispetto dei modi spicci con cui la Casa bianca, e ancor più Mike Pompeo, hanno benedetto l’autonomina a presidente di Juan Guaidó e hanno liquidato come illegittime le ineccepibili misure di reazione decise da Maduro nei confronti della rappresentanza diplomatica americana, è evidente che Trump si tiene pronto sia allo scenario di un rapido precipitare della situazione, con l’eliminazione di Maduro, sia allo scenario opposto, l’ennesima prova, da parte di Maduro, di una capacità di tenuta e di risposta, grazie al sostegno di una parte significativa della popolazione.

Trump è molto più che uno spettatore interessato. L’America e i suoi alleati della regione si stanno dando parecchio da fare perché prevalga il primo scenario.

Che si vada verso una lunga e cruenta guerra civile, e non verso un rapido esito della prova di forza, è il terzo scenario possibile. Forse il più probabile. Con effetti drammatici su un paese stremato, ma anche con enormi conseguenze nella regione e nel mondo. Oltre ai riflessi sul mercato energetico e ai rimbalzi sull’economia mondiale, la lacerazione di un paese chiave come il Venezuela avrebbe ripercussioni domino nel continente latino, fino ad arrivare agli stessi Stati Uniti.

Gli Usa nel 2017 hanno importato 674.000 barili al giorno di petrolio dal Venezuela, il 46% dell’export totale – fonte eia.gov

 

Assurdamente Trump cerca con infantile e crudele ottusità di contenere le migrazioni provenienti dall’America latina con stupidi quanto inutili muri, e intanto cerca di delegittimare l’opposizione al Congresso e trova sponda in personaggi come Bolsonaro e Macri nel tentativo di ripristinare in America latina vecchie e odiose forme autoritarie e liberiste, con l’eliminazione politica e, se necessario fisica, di quel che resta delle leadership progressiste. Operazione indecente politicamente che produrrà affamati e disperati disposti a tutto per emigrare. Dove? Negli Usa, naturalmente.

Aprendo a Cuba, Barack Obama aveva dato il segnale di un inizio di cambiamento, nella direzione di un superamento della condizione del continente latino-americano come «cortile di casa». Proprio nei confronti di Cuba, poi nei confronti del Messico, quindi verso il Nicaragua e ora verso il Venezuela si è diretta l’opera di disfacimento del faticoso lavoro diplomatico condotto da Obama.
La novità messicana della presidenza di López Obrador “Amlo” indica che la vis distruttiva di Donal Trump trova considerevoli ostacoli. Mentre la resilienza di Cuba è straordinaria. Ora si vedrà a Caracas.

È importante che il tentativo di rovesciare Nicolás Maduro non riesca, non solo per il Venezuela ma per la tenuta di quel che resta in piedi di un’America latina padrona del suo destino.

 

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