Ugo Palheta è un sociologo francese, ricercatore all’università di Lilla. Fondatore della rivista Contretemps, è specializzato nello studio delle disuguaglianze e negli ultimi anni si è occupato dell’articolazione tra neofascismo e politiche neoliberiste. Nel 2018 ha pubblicato La possibilité du fascisme: France, la trajectoire du désastre (ed. La Découverte).
Il tema è ormai sul tavolo e all’ordine del giorno: la legittimità della costituzione della V Repubblica, il suo carattere autoritario e bonapartista
Emmanuel Macron è invischiato in una crisi senza precedenti in Francia. Paradossalmente, però, più la crisi s’accentua, meno sembra probabile un suo passo indietro sulla riforma delle pensioni. Come si spiega questa contraddizione?
C’è una crisi profonda della legittimità delle politiche neoliberali, che viene da lontano, ma che è giunta a un punto culminante durante il mandato di Macron. Tutta la sua presidenza è stata contraddistinta da mobilitazioni molto forti: il movimento contro la loi travail di François Hollande (del quale Macron era ministro dell’economia), i gilets jaunes, gli scioperi del 2019 contro il precedente tentativo di riforma delle pensioni, le raffinerie, gli ospedali, i movimenti antirazzisti e femministi… E, oggi, questo movimento sociale di portata storica. Il progetto neoliberale sembra arrivato a quel momento che Gramsci qualificava di dominazione senza egemonia: si regge ormai sulla coercizione repressiva da un lato e, dall’altro, sulla debolezza della sinistra politica e del movimento sociale. Quest’ultimo è abbastanza forte per provocare grandi scossoni a ogni tentativo d’imporre le riforme neoliberali, ma troppo debole per ottenerne l’effettivo abbandono – per non parlare dello scioglimento delle camere o della dimissione di Macron.
Siamo in un momento intermedio, nel quale il potere politico è indebolito dall’opposizione sociale, e tuttavia ancora abbastanza forte per poter avanzare. Anche se il tema è ormai sul tavolo, posto all’ordine del giorno dal movimento: la legittimità della costituzione della V Repubblica, il suo carattere autoritario e bonapartista.

La verticalità della V Repubblica è uno dei temi centrali della contestazione. Come mai Macron ha scelto di tendere così all’estremo i meccanismi della costituzione francese?
La costituzione della V Repubblica è molto al di qua degli standard democratici, essendo un testo fondamentalmente bonapartista che dà un potere smisurato all’esecutivo. Dalla sua implementazione nel 1958, la Francia non è mai stata una democrazia liberale normale, del tipo al quale siamo abituati in occidente. L’altro aspetto, più generale, è il momento che attraversa il capitalismo: le nozze tra la democrazia e il capitalismo sono state una parentesi. Questo matrimonio era basato sull’unione tra libertà formali e democrazia sociale, sulla limitazione (anche minima) dello sfruttamento e sulla garanzia di tassi di crescita per il capitale – la legittimità del sistema si situava all’incrocio di questi fattori. Tale equilibrio è entrato in crisi decenni fa, e noi viviamo ancora all’interno di questa lunga crisi del capitalismo. L’imposizione della costituzione europea nel 2005, contro il voto del referendum col quale i francesi l’avevano respinta, o la triste sorte riservata a Syriza nel 2015, sono esempi di come il capitale tende ormai a emanciparsi dalla democrazia: innanzitutto dalla democrazia sociale, ma ormai, anche da quella politica, come si vede in Francia. La crisi francese è dovuta a questa intersezione tra la storia istituzionale del paese e la lunga crisi del capitalismo, il quale tende a emanciparsi dai meccanismi democratici.

Nelle ultime settimane, una serie di sondaggi hanno mostrato una crescita del consenso all’estrema destra di Marine Le Pen. Com’è possibile, vista la totale assenza del Rassemblement National (Rn) dal movimento sociale?
Una ragione è che i sondaggi sono realizzati in un momento in cui la maggioranza delle persone pensano che questo movimento sociale abbia poche chance di vincere la battaglia delle pensioni. Affinché questa lotta produca il massimo effetto possibile in termini elettorali per la sinistra, bisognerebbe ottenere una vittoria. Ma c’è un altro aspetto: l’estrema destra fornisce oggi una continuità “ragionevole” alle politiche neoliberali. La sinistra “di rottura”, invece, appare a molte persone come qualcosa di rischioso. Una politica di rottura col neoliberismo in Francia potrebbe scatenare una controffensiva del capitale, come è successo in Grecia o in Sud America – e questo le popolazioni lo misurano. Al contrario, l’estrema destra offre una forma di continuità: quello che Le Pen propone non è una rottura col neoliberismo, ma una sua versione presentata come più ragionevole, che continuerebbe alcune politiche intensificandone altre. È vero sul tema della sicurezza, dove il programma del Rn è del tutto compatibile con l’evoluzione razzista della politica francese degli ultimi decenni, ma è vero soprattutto sulla politica economica. Per esempio, sulle pensioni, Marine Le Pen propone fino a 43 anni di contributi, e la pensione a 60 anni solo per chi ha cominciato a lavorare prima dei vent’anni: in pratica, una versione leggermente moderata della riforma di Macron.

Cosa differenzia Macron dall’estrema destra, come dice lei, quest’ultima è in continuità con il governo attuale?
Il registro politico dell’estrema destra francese è quello della Nazione Minacciata dai suoi Nemici, interni ed esterni. È su questo che costruisce il suo discorso, il suo tentativo di egemonia. Se arriverà al potere, continuerà le riforme neoliberali, aggiungendovi una politica di repressione nei confronti dei movimenti sociali e dei sindacati: un modello simile a quello messo in pratica da Orbán in Ungheria, una sorta di ordonazionalismo. Così facendo, potrebbe ridare legittimità al progetto neoliberale, sotto l’auspicio di politiche sempre più xenofobe, e attraverso la costruzione sistematica della figura del Nemico Interno: sia esso il sindacato, il movimento sociale, gli ecologisti, gli immigrati… Al contrario di Macron, la base elettorale di Le Pen non le pone alcun limite in questo senso: potrà andare in fondo a questo processo, costruito su di un miscuglio di nazionalismo reazionario e di politiche neoliberali violente nel contenuto come nella forma.