Le grandi manovre nella destra europea sono iniziate ieri ma per la premier italiana la partita fondamentale, ora, è quella della presidenza della Commissione e potrebbe definirsi già nella cena dei 27 di lunedì prossimo a Bruxelles: proprio per chiudere subito e arrivare al voto dell’Eurocamera il 18 luglio, von der Leyen ha incontrato ieri Macron, il principale possibile ostacolo per la sua riconferma.

Nella scelta del prossimo presidente e dei commissari, in questo caso in via informale, il ruolo centrale è quello del Consiglio, la cui indicazione per la presidenza deve poi appunto essere approvata da Strasburgo. Meloni ha due argomenti pesanti da calare sul tavolo dei capi di governo della Ue: il risultato delle europee, essendo l’unico governo uscito rafforzato nonostante il calo di voti rispetto al 2022, ma anche il solo governo tra quelli dei Paesi principali in cui figura una delegazione del Ppe.

Con 13 capi di governo e la delegazione parlamentare di gran lunga più forte il Ppe ha un indiscutibile peso enorme. Non tanto da costringere il Consiglio ad approvare la sua scelta, cioè a candidare Ursula von der Leyen. Insomma, l’appoggio del governo del terzo Paese dell’Unione, l’Italia, per i Popolari è prezioso. Ma i Popolari sono più che ostili a Orbán e Meloni non vuole incrinare i rapporti proprio ora.

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È questo il principale motivo per cui l’ingresso di Fidesz, il partito ungherese di Orbán forte di 11 parlamentari, nel gruppo dei Conservatori per ora è congelato. Non lo vogliono i Cechi del partito civico democratico, i belgi della Nuova alleanza fiamminga, i finlandesi del Finns Party e i democratici svedesi. Nessun veto, invece, sull’arrivo del leader considerato super putiniano da parte del partito più filo-ucraino che ci sia da quelle parti, il Pis polacco e favorevoli sono anche gli spagnoli di Vox e i francesi di Reconquete. Rinvia la scelta il partito che pesa di più sia numericamente, con 24 eurodeputati, sia perché esprime la presidente del gruppo, Fdi. Nessuna tensione con il Ppe prima che sia definita la presidenza.

La favola dell’ingresso di Ecr, o almeno di alcune sue componenti come FdI e il Pis, nella maggioranza è fumo negli occhi. Una maggioranza parlamentare come la intendiamo in Italia a Strasburgo non esiste e Meloni ha tanto interesse nel garantire che lei non partecipa ad alcuna maggioranza con i Socialisti quanto questi ultimi ad assicurare che non figurano in una maggioranza con una leader di destra come lei. Ma il voto sulla presidente è un’altra cosa, anche se per la verità è l’unico caso in cui si forma una maggioranza precisa nel Parlamento europeo. Salvo incidenti se la caveranno tutti dicendo che sì, FdI ha votato per la presidenza ma il suo apporto alla maggioranza si ferma lì. Però è su quel voto che si articolerà la trattativa sulla contropartita.

La premier italiana vuole un commissario pesante, meglio ancora una vicepresidenza della Commissione. Ieri i 73 europarlamentari di Ecr sono diventati 77 grazie a 4 nuovi ingressi. Altri ne sono attesi. Il sorpasso sui liberali di Renew, con 79 seggi, sembra a portata di mano e a quel punto il gruppo potrebbe ambire agli Esteri, che è automaticamente anche vicepresidenza. Meloni potrebbe insistere per un mister Pesc italiano. O per una lady Pesc, perché in pole position ci sarebbe Elisabetta Belloni, ex segretaria generale della Farnesina già a un passo dal Qurinale.

A Bruxelles però molti dubitano che sia davvero quello l’obiettivo della premier italiana: il posto è prestigio ma non maneggia quattrini. L’Economia essendo fuori discussione, anche perché l’Ue non ha dimenticato lo sgarbo della mancata ratifica della riforma del Mes, resterebbero la Coesione, la Ricerca e l’Industria come postazioni eminenti.

In quel caso la scelta del governo cadrebbe probabilmente (ma non certamente) su Raffaele Fitto ma la partita proseguirebbe sul versante altrettanto centrale delle deleghe. Ma sui vertici europei c’è un altro nome italiano che prende quota, in questo caso per la presidenza del Consiglio europeo: Enrico Letta. In pole position ci sarebbe il portoghese Costa ma è considerato da molti troppo sbilanciato a sinistra. Alla premier di destra, che con Letta ha sempre avuto rapporti ottimi, non dispiacerebbe affatto.