L’intervento dell’on. Nicola Fratoianni nel corso della Commemorazione alla Camera dei Deputati di Elettra Deiana 

Camera dei Deputati – 8 marzo 2023

Elettra Deiana è stata per me, per noi un’amica innanzitutto, una compagna, una donna, un’intellettuale femminista, una dirigente comunista di Rifondazione Comunista, quando è entrata in questo Parlamento, poi di Sinistra Ecologia e Libertà, infine di Sinistra Italiana.

È stata una parlamentare, come lei ha ricordato, nella XIV e nella XV legislatura, una parlamentare appassionata, appassionata alla democrazia, alla Costituzione, alle istituzioni non come luogo in cui contemplare, ossificata, la pratica di una democrazia, delle cui sorti si è sempre preoccupata con grande attenzione, ma alle istituzioni come luogo di confronto, come strumento di traduzione legislativa dei conflitti, dei movimenti reali, di ciò che attraversava, mutandone il segno, la società italiana.

Infatti, Elettra Deiana, mentre attraversava queste Aule, mentre occupava ruoli istituzionali con grande precisione, perfino con meticolosa attenzione e con rispetto di questi luoghi, non perse mai, neanche per un istante, non solo l’attenzione, ma la curiosità, il bisogno di guardare al mondo, ai movimenti, ai conflitti, a ciò che, quotidianamente e continuamente, contribuiva a trasformare la mappa delle relazioni che costruiscono l’ordine del potere di una società come la nostra.

È lì, dentro questo nesso, che ha vissuto, con continuità, la relazione tra il suo pensiero femminista, tra il femminismo, come pensiero di trasformazione, e il movimento delle donne come movimento collettivo, in grado di rovesciare l’ordine del discorso, di cambiare l’ordine patriarcale delle relazioni, la cartografia delle relazioni, che definiscono l’ordine del discorso, ma anche come strumento per indicare e costruire quotidianamente una differenza, uno sguardo altro e sull’altro.

È in nome e a partire da questa sensibilità, da questa capacità di guardare alla complessità, animata, tra le tante cose, da una passione per le parole difficili, come ricorda nel suo bel libro di memorie, nel suo memoir “Il tempo del secolo”, a partire da questo, nel suo lavoro parlamentare e nella relazione tra il lavoro parlamentare e i movimenti (che, in quegli anni, occupavano la scena mondiale, in particolare, il movimento dei movimenti; ricordo Elettra Deiana, al mio fianco, al nostro fianco, nelle strade di Genova, durante i giorni del G8 nel 2001, quando, a mani alzate, veniva travolta da un’immotivata carica della Polizia, in una piazza fatta di pacifisti e pacifiste a mani alzate), e nel rapporto con quei movimenti, impegnò le sue energie intellettuali e politiche e, insieme, il pensiero e la pratica, l’atto politico di costruzione di un cambiamento quotidiano per decostruire, nella sua attenzione pacifista, il racconto avvelenato che accompagnava le guerre che avrebbero contribuito a ridefinire l’ordine mondiale: la guerra globale permanente – lo ha ricordato lei -, la guerra preventiva, la guerra di civiltà.

Parole che fecero irruzione, in quell’alba del secolo, nel dibattito pubblico, facendo strame del diritto internazionale. Quante volte mi ripeteva, ci ripeteva, nelle occasioni di confronto e di relazione collettiva, quanto l’attenzione al diritto (e qui torna l’attenzione e la passione per la dimensione delle istituzioni come strumento di garanzia del vivere civile, della qualità della democrazia), quanto mettere in discussione quelle categorie fosse assai pericoloso, oltre che elemento in grado di avvelenare il discorso pubblico.

Sulla guerra di civiltà, che torna anche oggi, di fronte all’ennesima guerra che attraversa, in questo caso, il cuore dell’Europa, anche oggi, di fronte alla guerra in Ucraina e, soprattutto, al dibattito che accompagna il modo con cui ci misuriamo con quella vicenda drammatica, Elettra avrebbe alzato la voce, come faceva lei, irriverente di fronte a qualsiasi autorità che fosse quella interna alla sua comunità politica o quella collocata in qualsiasi altrove.

Avrebbe alzato la voce per ricordarci quanto quella narrazione contribuiva a distorcere la lettura del mondo, a renderlo più opaco, meno comprensibile, a fare dell’altro l’oggetto di un nemico, a prescindere dalla capacità di leggere le ragioni che muovevano gli interessi del mondo.

Elettra è stata, come ho detto, una pensatrice femminista. Ha insegnato a me, a tanti e tante della mia generazione, nella nostra comune militanza politica, l’importanza di quel punto di vista e della capacità conflittuale di esercitarlo.

Non è mai stato, il suo, un femminismo fatto di autocompiacimento, fatto di parole come quelle che, talvolta, diciamo la verità, ascoltiamo anche durante le celebrazioni di quest’Aula, come quelle che abbiamo talvolta ascoltato anche questa mattina. Non è il femminismo che pensa alla donna come un soggetto fragile, di cui prendersi cura. È un femminismo, invece, costruito a partire dalla capacità delle donne di farsi soggetto collettivo della trasformazione del mondo.

Elettra – e ho concluso, signor Presidente – è stata preziosa. Preziosa per chi l’ha conosciuta, per chi le ha voluto bene, per chi ha potuto con lei scambiare quella forma di confronto, che chi ha avuto la fortuna di avere ricorda e non può dimenticare, un confronto sempre incalzante.

Elettra non faceva mai sconti a nessuno quando era convinta che ci fosse un’urgenza di cui discutere e su cui confrontarsi. Elettra è stata preziosa ed è per questo che oggi manca a noi, che le abbiamo voluto così bene, così tanto, ma manca anche al dibattito e alla qualità del dibattito di questo Paese. Era tanto preoccupata per la qualità della democrazia, per il bisogno di difenderne le ragioni, di difenderne il quadro di riferimento.

Noi, per quel che possiamo, cercheremo, senza certamente riuscirci come avremmo voluto e dovuto, di continuare il suo lavoro e di prendere da lei le tante cose belle che ci ha insegnato e lasciato (Applausi).