Il ministro per il rapporti con il parlamento Ciriani (Fdi) si mostra ottimista e prevede che si potrebbe tenere già mercoledì prossimo il voto delle camere sui quattro componenti del nuovo consiglio d’amministrazione Rai di nomina parlamentare (due sono eletti dalla Camera, due dal Senato, due dal governo e uno dall’assemblea dei dipendenti). I presidenti devono sentirsi tra loro per fissare la data e «si sta provando a trovare un’intesa», aggiunge il ministro. Ma se Montecitorio dà semaforo verde per procedere con le votazioni, palazzo Madama frena.

L’intesa non è a portata di mano: anzi. La Lega reclama subito l’apertura di un tavolo, dopo le dimissioni della presidente del Cda di viale Mazzini, Marinella Soldi, che lascerà il 10 agosto l’azienda per entrare nel Cda di Bbc Commercial. «Auspichiamo quanto prima un confronto vista anche la necessità di avere numeri che superino quelli della maggioranza di centrodestra per promuovere in commissione di Vigilanza il nuovo presidente, senza questi passaggi l’annuncio della convocazione del parlamento rischia di diventare un esercizio di stile», avverte Giorgio Maria Bergesio, capogruppo leghista in Vigilanza. Insomma, si delinea un braccio di ferro e il messaggio è inviato: il o la presidente del Cda deve appunto ottenere il via libera dai due terzi della commissione quindi avere il gradimento anche di un pezzo di opposizione, partendo da una solida intesa nella maggioranza. Ipotizzare una spaccatura e la sostituzione dei voti leghisti con quelli di un pezzo più ampio di opposizione (come qualcuno non esclude), in questo momento di continue tensioni nel centrodestra sembra poco plausibile. E nel tentativo di calmare le acque la partita potrebbe essere rinviata a settembre.

Alla presidenza Rai punta dal primo momento Fi con Simona Agnes, attuale consigliera. La Lega non intende facilitarle il cammino, non almeno senza ottenere un casella di peso, come la direzione generale attualmente occupata dal meloniano di ferro Giampaolo Rossi, destinato, nei piani della stessa Meloni, a guidare l’azienda come amministratore delegato. Quegli stessi piani non prevederebbero più un direttore generale. Il tele-scontro va in scena anche sul canone Rai, che la lega vorrebbe tagliare aumentando gli spot sulla tv pubblica (non certo un favore a Mediaset).

Tra i litiganti Salvini e Tajani, la premier non ha grandi medaglie da appuntarsi sul petto. Il suo direttore militante Paolo Corsini, Rainews, ieri si è visto respingere all’unanimità dal Consiglio di disciplina dell’Ordine dei giornalisti del Lazio l’incredibile esposto da lui presentato contro il Comitato di redazione della testata, reo di aver criticato il direttore per il quasi oscuramento del secondo turno elettorale in Francia. E una bordata arriva dalla Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo l’articolo 2, comma 3, perché privo dei requisiti di necessità e urgenza, del cosiddetto «decreto Fuortes». Quello che mandava in pensione il direttore del San Carlo di Napoli Stephane Lissner per sostituirlo con Carlo Fuortes liberando la casella di ad Rai. Contro il decreto aveva presentato ricorso Lissner, che era stato reintegrato.