Il Senato ha approvato ieri in via definitiva il decreto «Salva casa». Dopo settimane di liti, Lega e FdI hanno trovato l’accordo sulle norme «salva Milano» e sulle concessioni balneari. Sul Salva casa il governo è ricorso per la 61esima volta alla fiducia, ottenendo l’approvazione di quello che è a tutti gli effetti un favore agli abusi e alle speculazioni immobiliari.

Il decreto, voluto dal ministro Salvini, consente i piccoli interventi edilizi senza obbligo di autorizzazione, semplifica i cambi di destinazione d’uso degli immobili ed estende i limiti di tolleranza sulle difformità rispetto ai progetti originari. Per il capogruppo Pd Boccia, il Salva casa «contiene evidenti sanatorie e condoni in materia di edilizia residenziale, una vera e propria deregulation, l’ennesima strizzata d’occhio ai furbi». Secondo il capogruppo Avs De Cristofaro, il decreto «salva gli abusi ed è a favore della rendita immobiliare e dell’abitabilità di spazi che abitazioni non sono, ma loculi di 20 metri quadrati. La legge avrà l’effetto di una moltiplicazione di case vacanze e b&b e l’aumento dei costi per l’acquisto delle case, con conseguente espulsione dei meno abbienti che hanno difficoltà a trovare una casa a causa della proliferazione del turismo nei centri storici».

Ieri, in una riunione tra governo e maggioranza, si è trovata la quadra anche sulle norme Salva Milano che, a causa di divisioni nel centrodestra, erano state eliminate dal Salva casa. Si tratta di un pacchetto di provvedimenti chiesti con urgenza dal sindaco Sala, dopo che alcune inchieste giudiziarie hanno molto ridotto le autorizzazioni a costruire nuovi edifici (e fermato i grattaceli) nel capoluogo lombardo. Il comune chiede di sbloccare la situazione soprattutto per risolvere le difficoltà economiche dovute ai mancati oneri di urbanizzazione, ma ciò significa far sorgere altri grandi palazzi in una città già soffocata dal cemento. Un aspetto che però non tocca la sensibilità di Lega e FdI, che hanno infine deciso di intervenire con una proposta di legge parlamentare ad hoc, da presentare prima della pausa estiva e alla quale applicare la procedura d’urgenza per l’approvazione.

Resta da concludere l’eterna partita dei balneari. Le loro concessioni sono in scadenza il 31 dicembre e dovranno essere riassegnate tramite gare pubbliche, in base alla legge concorrenza del governo Draghi. Palazzo Chigi potrebbe anche non fare nulla e lasciare che gli enti locali aprano i bandi ognuno per sé, ma la premier vuole evitare lo scontro con i balneari. Le due principali associazioni di categoria, Sib-Confcommercio e Fiba-Confesercenti, hanno annunciato una manifestazione di protesta se il governo non approverà entro inizio agosto una legge sugli indennizzi per i concessionari uscenti.

Meloni si è ormai inimicata la categoria, non avendo mai mantenuto la promessa di salvaguardarla dalle gare. I balneari erano già scesi in piazza a Roma l’11 aprile e ora stanno organizzando per l’8 o 9 agosto una chiusura simbolica degli ombrelloni in tutta la penisola, come già avvenuto il 3 agosto 2012 quando il governo Monti voleva introdurre le gare delle concessioni. La premier non sa come salvare la faccia e vuole evitare una manifestazione contro di lei in piena estate, quando tutti gli italiani sono al mare; perciò ha cercato l’appoggio di Salvini.

L’idea sarebbe quella di inserire una norma nel dl Infrazioni o Concorrenza, per obbligare i concessionari subentranti a pagare degli indennizzi agli uscenti. Tuttavia l’accordo tra Meloni e Salvini non conta nulla, senza il via libera della commissione Ue. La direttiva Bolkestein proibisce qualsiasi vantaggio ai concessionari uscenti e gli indennizzi potrebbero essere percepiti come un favore improprio. Perciò non è detto che la norma riceverà il via libera da Bruxelles, soprattutto con la posizione marginale di FdI in Ue. Oltretutto, per recuperare il ritardo di cui è lei stessa colpevole, la premier starebbe vagliando una proroga di uno o due anni. Ma anche questa misura è proibita dal diritto italiano ed europeo aumentando il rischio che la norma possa essere bocciata.