Sull’assegno unico si riaccende lo scontro tra il governo Meloni e l’Unione europea. Dopo la procedura di infrazione avviata lo scorso mese di novembre, ieri la Commissione europea ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia Ue per il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori mobili di altri Paesi proprio per quanto riguarda il riconoscimento dell’assegno unico e universale per i figli a carico. Un diritto che per Bruxelles va riconosciuto a tutti i lavoratori stranieri, a partire da quelli originari di Stati membri, ma che per Roma spetta solo a coloro che risiedono nel nostro paese da almeno due anni insieme ai loro figli. Requisiti, quelli italiani, giudicati «discriminatori» da Bruxelles, che accusa il governo di violare «il diritto Ue in maniera di coordinamento della sicurezza sociale e di libera circolazione».

Quello che si sta consumando in queste ore è l’ultimo atto di uno scontro in corso ormai su vari fronti tra Roma e Bruxelles, nonché l’ennesimo segnale della crepa che si è aperta nei rapporti tra Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen. Sull’assegno unico, in particolare, i toni della premier italiana sono stati parecchio accesi fin da quando la Commissione ha reso noto do aver avviato una procedura di infrazione contro i nostro Paese. «Una follia, daremo battaglia», aveva promesso. «La commissione dice che se vogliano mantenerlo dobbiamo riconoscerlo anche ai lavoratori comunitari e potenzialmente anche a quelli extracomunitari anche con figli in patria. Se dovessi seguire quanto dicono non potrei permettermelo più».

Il deferimento alla corte d giustizia Ue deriva proprio dal rifiuto opposto da Roma ad adeguarsi al diritto comunitario, uno dei principi fondamentali del quale , spiega Bruxelles, «è che le persone siano trattate equamente senza alcuna distinzione basata sulla nazionalità».E’ proprio sulla base di questo principio che i lavoratori mobili, che pagano le tasse come i lavoratori locali, hanno diritto alle stesse prestazioni di sicurezza sociale». La Commissione ricorda infine come il regolamento Ue proibisca «qualsiasi requisito di residenza per ricevere prestazioni di sicurezza sociale come le prestazioni familiari».

Per i sindacati le notizie che arrivano di Bruxelles confermano le critiche in materia avanzate in precedenza al governo. «Il deferimento dell’Italia alla Corte di giustizia europea, che fa seguito all’apertura della procedura di infrazione da parte della Commissione europea lo scorso novembre, ci rafforza nelle nostre convinzioni: i requisiti dei due anni di residenza e quello della convivenza per essere beneficiari dell’assegno unico sono discriminatori», hanno dichiarato le segretarie confederali della Cgil Daniela Barbaresi e Maria Grazia Gabrielli. «Quelle previsioni hanno impedito a tanti cittadini, comunitari e non, di accedere ad una prestazione di sicurezza sociale. E come abbiamo sostenuto fin dall’introduzione dell’assegno unico e universale per i figli si tratta di una discriminazione non solamente per quello che è il bacino di riferimento della procedura di infrazione, ovvero i cittadini e le cittadine di altri paesi membri dell’Unione, ma anche – come sosteniamo da tempo – per tutte le lavoratrici e i lavoratori il cui nucleo familiare sia residente nei paesi esteri. Su questo principio – hanno concluso Barbaresi e Gabrielli – siamo in procinto di attivare tutte le azioni necessarie per porre rimedio a una discriminazione inaccettabile».

Silenzio, invece, da parte del governo. Il compito di parlare per la maggioranza spetta invece al senatore della Lega Claudio Borghi: «Nel caso non si fosse capito in pratica vogliono che diamo l’assegno unico anche a tutti quelli appena arrivati col barcone», scrive su X. «Difenderemo la nostra legge e sappiate che se vinceranno lo stato dovrà ridurre a tutti l’assegno. Ci vuole meno Europa».