«Con garbo», ma anche «con determinazione», durante la cerimonia del Ventaglio di ieri, Sergio Mattarella ha ricordato al Parlamento che da otto mesi deve eleggere un giudice costituzionale. Era l’11 novembre, infatti, quando è andata in pensione Silvana Sciarra e da allora tutte le votazioni per la sua sostituzione sono finite in nulla. Non parliamo di una casualità, né di una palude istituzionale particolarmente difficile da attraversare, ma di un preciso calcolo politico della destra. A dicembre, infatti, scadrà di mandato di altri tre giudici di nomina parlamentare (Augusto Barbera, Franco Modugno e Giulio Prosperetti) e le forze di governo puntano a fare cappotto: quattro pedine in un colpo solo. «Non so come lo si vorrà chiamare. Monito, esortazione, suggerimento, invito…», ha detto Mattarella, lasciando intendere che dicembre è una scadenza troppo lontana sul calendario. La tempistica, infatti, non è per niente casuale.

SIAMO INFATTI nei giorni in cui la questione istituzionale più calda riguarda la posizione della consigliera laica del Csm Rosanna Natoli (FdI), precipitata al centro di uno scandalo senza precedenti dopo la diffusione dell’audio di un suo incontro riservato con una giudice sotto procedimento disciplinare. Lunedì pomeriggio Mattarella ha fatto presente al vicepresidente del Csm Fabio Pinelli che Natoli farebbe bene a dimettersi, ma la consigliera appare intenzionata a resistere a tutte le pressioni. Anche a quelle che arrivano dal Colle: una mossa clamorosa dietro la quale non può che esserci un sostegno politico. Di chi? Tanto per cominciare, Natoli è una diretta emanazione di Ignazio La Russa, che l’ha voluta al Csm a mo’ di compensazione per la mancata elezione alla Camera nel 2022. Poi c’è un fatto puramente numerico: per sostituirla ci sarebbe bisogno del voto compatto dei tre quinti del parlamento e, allo stato attuale delle cose, appare improbabile che FdI possa riuscire a nominare un’altra figura a sé tanto organica. Non sfugge a nessuno, figuriamoci a Mattarella, che i tre quinti necessari per rimpiazzare Natoli sono gli stessi che servono per nominare i nuovi giudici costituzionali. E se la destra è in crisi per il primo punto, pallottoliere alla mano, non può che esserlo anche per il secondo. In soldoni: servono 363 voti e le forze di governo ne hanno 355 (sulla carta, perché poi il voto è segreto). Gli altri 8, che prima venivano assicurati da renziani e calendiani, adesso sono molto più incerti di quanto non fossero fino a pochi mesi fa e così l’ipotesi del cappottone giudiziario della destra – ampia maggioranza dei laici al Csm, ampissima maggioraza tra i giudici costituzionali – si sta fatalmente allontanando ogni giorno di più. L’unica strategia possibile, dunque, è quella di resistere a oltranza. Natoli, in via informale, ha fatto sapere a Pinelli che non vuole dimettersi e, ammesso che riesca a tenere la posizione ancora un’altra settimana, arriveranno salvifiche le ferie di agosto a far slittare ogni discussione a settembre. Per i giudici costituzionali, invece, i piani non cambiano: testa sotto la sabbia e aspettare dicembre, sperando in tempi migliori. Ma Mattarella invita a fare presto e c’è da aspettarsi che il richiamo «garbato» di ieri con il passare delle settimane diventerà sempre più veemente.

INTANTO al Csm si fa finta di niente. Al plenum di ieri mattina si è parlato di tante cose (compreso il caso di Yara Gambirasio, chiuso in maniera ermetica dalle sentenze ma ora tornato di moda a causa di una serie complottista di Netflix) ma non di Rosanna Natoli, peraltro assente. L’imbarazzo in questa situazione coinvolge soprattutto i consiglieri nominati dal parlamento, che quasi negano l’esistenza stessa dello scandalo, derubricandolo a bagatella di scarso rilievo. Di contro i togati sono, a voler usare termini gentili, sempre più perplessi. La nota diffusa dall’Anm è, in questo senso, un manifesto ambientale: «Il tentativo di minimizzare» il caso Natoli (definita «inadeguata») «è inaccettabile» perché così si va a minare «in profondità il prestigio dell’istituzione» e si offende» la magistratura nel suo complesso». Da qui l’invito all’interessata di far prevalere «il senso di responsabilità». Che si sbrighi a far arrivare le sue dimissioni. In tempi normali, il passo indietro sarebbe inevitabile, se non per logica politica, almeno per sensibilità istituzionale. Ma evidentemente non viviamo in tempi normali.