Visioni

La presa di parola politica nei movimenti gay e queer

La presa di parola politica nei movimenti gay e queerUna scena da «The Making of Monsters»di John Greyson

Berlinale 69 Nella sezione Panorama otto cortometraggi raccontano come gli anni dell'epidemia Aids hanno modificato la cultura del mondo omosessuale

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 14 febbraio 2019

Quest’anno, la sezione Panorama della Berlinale compie quarant’anni e per l’occasione il suo storico responsabile Wieland Speck insieme al collega e collaboratore di lunga data Andreas Struck hanno curato un programma speciale per ripercorrere la storia di una sezione nata con lo scopo di mostrare un cinema più libero e trasgressivo per forme e temi rispetto al concorso. Panorama 40 ripropone dunque alcuni film particolarmente rappresentativi di questo itinerario organizzati per focus tematici, uno dei quali incentrato sulla queerness con particolare attenzione all’impatto storico e politico che l’Aids ha avuto sulle vite delle persone e sull’immaginario cinematografico.

ALL’INTERNO di questo focus, accanto a lungometraggi ormai divenuti dei veri e propri classici come Buddies di Arthur J. Bressan Jr., primo film a raccontare l’epidemia nel 1985, o Les nuits fauves di Cyril Collard, anche una serie di otto corti di fine anni Ottanta-inizio anni Novanta intitolata The talent of making, in cui la radicalità della pratica estetica viaggia in parallelo con la riflessione politica sulla soggettività e sulla sessualità. Anticonformista è stato anche il modo scelto per presentare i film e discutere con autori e autrici provenienti da tutto il mondo: quando Andreas Struck è giunto in sala alle undici di mattina vestito quasi completamente in pelle nera e la collega Margaret von Schiller lo accompagnava in calze zebrate è stato chiaro che quella sala era un territorio in cui i confini tra notte e giorno e tra desideri e realtà erano piuttosto sfumati. Lo stesso accade in Blue Diary (1997) di Jenni Olson in cui la voce off di una ragazza omosessuale racconta la notte passata con una etero per cui quella è stata solo un’avventura, ma la narrazione notturna si dipana sulle immagini di una San Francisco in pieno giorno, determinando un forte contrasto tra visibile e invisibile, tra pubblico e privato, tra interni ed esterni, tra l’essere «out» e l’essere «in the closet».

DI VISIBILE e invisibile parla anche Fear of Disclosure (1989) di Phil Zwickler e David Wojnarowicz, cinque minuti a rotta di collo in cui statuari corpi di maschi ballano seminudi nell’oscurità, bellissimi, apparentemente forti, in realtà vulnerabili, mentre una voce, ancora una volta off, racconta come l’Hiv abbia completamente modificato i rapporti nella sfera gay introducendo paure, distanze, contraddizioni prima inesistenti. Dopo l’avvento dell’Aids è ancora possibile concepire quella sessualità libera, promiscua e generosa che ha sempre contraddistinto l’intreccio tra politico e privato nel modo gay? Phil Zwickler e David Wojnarowicz morirono delle conseguenze del virus poco tempo dopo aver realizzato questo lavoro che ci lascia un’importante eredità. Siamo abituati a pensare gli anni Ottanta come un periodo di riflusso politico e di ripiego nel privato ma questa lettura si applica solo parzialmente alla storia omosessuale e queer la cui periodizzazione trova negli anni della «Plague», la piaga, ragioni di disperazione ma anche di una rabbia che ha saputo trasformarsi in azione e in presa di parola politica come dimostra la storia di movimenti quali Act Up o Queer Nation.

QUEST’ULTIMA, per esempio, promosse manifestazioni contro l’omofobia e gli omicidi, come evocato nell’esilarante The Making of Monsters (1990) del canadese John Greyson. Nato come saggio di diploma e come reazione tanto alle uccisioni quanto a una rappresentazione mediatica che tendeva a raccontare gli assassini come ragazzi «normali», il film racconta la messa in scena di un’opera buffa sulle violenze omofobe nei cruising park da parte di un duo in competizione: Lukács e Brecht ma quest’ultimo è interpretato da un pesce-gatto che ad un certo punto rivela di avere una relazione con un pesce rosso di nome Kurt Weil. Come prendersi gioco ma in modo serissimo del problema del realismo nell’arte. La perla del programma è stata però Jean Genet is Dead (1987) di Constantine Giannaris, poema in cui la bellezza della scrittura di Genet si fonde con il lirismo di immagini in S8 dedicate a un amante scomparso. Vedere certo cinema del passato serve a ricordarsi quanto sia importante continuare ad essere ambiziosi e impavidi davanti e dietro la macchina da presa.

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