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La politica globale delle droghe è «fuori strada»

Fuoriluogo La rubrica settimanale sui diritti. A cura di autori vari
Pubblicato 11 mesi faEdizione del 20 dicembre 2023

«Off track», fuori strada: questo il giudizio per 10 degli 11 obiettivi strategici fissati dalla strategia Onu sulle droghe nel 2019, obiettivi che dovrebbero essere raggiunti nel 2029, secondo la Dichiarazione Ministeriale approvata a Vienna 5 anni fa e che il prossimo marzo avrà una valutazione di medio termine. Il giudizio è dello International Drug Policy Consortium (IDPC), rete della società civile che conta 191 associazioni in 75 paesi del mondo, che – come già nel 2016 per UNGASS a New York – ha redatto il suo Rapporto ombra, come prevede il processo che porterà a Vienna 2024.

Il giudizio impietoso si basa su una accurata analisi sia di dati provenienti da fonti istituzionali, a cominciare dalle stesse fonti Onu, che di dati e analisi qualitative prodotte dal mondo accademico e da quello associativo internazionale. Iniziando dall’eccezione, il solo obiettivo che si merita un più blando “in moderato progresso” è quello relativo alla partecipazione della società civile nei processi politici e decisionali sulle droghe, che però segnala avanzamenti soprattutto a livello di dialogo internazionale, mentre a livello nazionale si registrano difficoltà dovute al restringimento degli spazi partecipativi dovuti a populismo e crescente autoritarismo.

Tra i più significativi deragliamenti dalla via auspicata nel 2019 ci sono la continua crescita del mercato illegale e quella del numero di chi usa sostanze illegali: questo è salito di 25 milioni in 5 anni (da 271 a 296), mentre il mercato ha registrato un decremento solo dell’oppio, ma un +35% di coca, un aumento di produzione di cocaina pura (2.304 tonnellate, erano 1.976 nel 2019), fino alla circolazione di 1.181 sostanze sintetiche. Violenza e insicurezza sociale sono cresciute di conseguenza.

Un proposito della Dichiarazione 2019 è quello di avvicinarsi agli obiettivi dell’agenda 2023, per esempio per il diritto alla salute: ma solo una persona che usa droghe su 5 accede alle cure, e molti sono sottoposti a trattamenti coatti. L’obiettivo di allineare le politiche nazionali delle droghe ai diritti umani non ha registrato miglioramenti sensibili, nonostante il positivo dibattito internazionale: in 5 anni, per esempio, le esecuzioni capitali per droga sono passate da 91 a 285, e sono centinaia ogni anno le esecuzioni extragiudiziali.

È «off track» anche la limitazione del ricorso al carcere: 11,5 milioni di detenuti/e per droga nel 2023, erano 10 nel 2019. Si registrano problemi anche per quanto concerne l’accesso ai farmaci e alle terapie antidolore: chi vive nei paesi a medio-basso reddito ha 40 volte meno possibilità di accedere alle cure palliative e antidolore di chi vive nei paesi ricchi.

A fronte di uno scenario così fallimentare, IDPC individua alcune linee guida di cui, si auspica, Vienna 2024 dovrà discutere, anche grazie al nuovo protagonismo delle agenzie per i diritti umani. Si tratta innanzitutto di far uscire dall’attuale cono d’ombra alcune tematiche, su cui la Dichiarazione 2019 ha mancato di intervenire. Tra queste, riconoscere il potenziale delle politiche alternative di legalizzazione dei mercati, partendo dalle lezioni apprese dagli stati che hanno adottato forme di regolazione legale, per affrontare davvero il nodo irrisolto e in sempre maggiore aumento dei mercati illegali, della macro-criminalità, della corruzione e della violenza. Investire sulla Riduzione del danno, per prendersi cura davvero della salute di chi usa.

Decolonizzare le attuali politiche che penalizzano i popoli nativi e le loro tradizioni, e combattere razzismo e discriminazione ai danni di chi usa. E poi implementare fattivamente il principio secondo cui i diritti umani guidano le politiche sulle droghe, e riformare le politiche che non ottemperano a questo principio-guida.

* Il rapporto è su fuoriluogo.it

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