La politica come educazione sentimentale
Appena ho appreso della morte di Rossana Rossanda, mi sono venute in mente le ultime parole che mi disse al termine della manifestazione alla Casa delle Donne cui volle generosamente […]
Appena ho appreso della morte di Rossana Rossanda, mi sono venute in mente le ultime parole che mi disse al termine della manifestazione alla Casa delle Donne cui volle generosamente […]
Appena ho appreso della morte di Rossana Rossanda, mi sono venute in mente le ultime parole che mi disse al termine della manifestazione alla Casa delle Donne cui volle generosamente partecipare per non fare mancare il suo sostegno di “comunista femminista” alle candidate della lista della Sinistra alle elezioni europee.
Furono considerazioni sulle asprezze della vecchiaia e di un “corpo che non risponde” che tengo gelosamente per me. Ma subito dopo un altro ricordo si è fatto prepotentemente strada.
Quello legato a un suo libro di quarant’anni fa: Un viaggio inutile o della politica come educazione sentimentale che raccontava di un suo viaggio clandestino nella Spagna franchista nel 1962 su incarico del Pci. Il suo resoconto non piacque a Giancarlo Pajetta.
Rossana in modo disincantato aveva scritto, nel rapporto per la segreteria del partito, che “la destra sembra porsi concretamente come forza di ricambio, proponendo un’esperienza storica nuova, cioè la liquidazione di un fascismo dall’interno della stessa classe che lo ha creato”.
Aveva colto l’essenziale di ciò che poi effettivamente avvenne. Pajetta ascoltò “con curiosità insaziabile” le sue parole, per poi concludere nel suo modo “che un antico riflesso di potere gli suggerisce”. Ovvero “Insomma, dici che non cambia nulla. Bel lavoro che hai fatto”.
Quel piccolo libro si conclude con una postfazione, scritta nel marzo del 1981, che è ancora più preziosa perché si distacca dalla vicenda specifica e mostra non solo il travaglio interiore di una grande intellettuale comunista, ma anche la capacità di trarre dai turbamenti e dalle emozioni la percezione del divenire di un’intera società.
E sono queste le sue parole che più mi sono rimaste impresse e che sono andato a ricercare: “Viene, la depressione, forse da grandi dolori, forse da più sottili concause, sempre – penso – dall’intollerabile divario fra lo sperato e il vissuto. Ma quando si installa, la sua voce ripete che nulla ha da essere atteso più, anzi nulla può essere pensato più, perché una società, come del resto un uomo, non si pensa se non per cambiare. Se no, neppure si vede, diventa indecifrabile a se stessa, come un burattino disarticolato”.
E così è la nostra società presente.
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