La Costa d’Avorio viene spesso raccontata come un “baluardo di democrazia”, uno dei Paesi più stabili e sicuri della turbolenta Africa occidentale dove continui colpi di stato rovesciano i governi eletti da decenni. La realtà è molto diversa.

Con i suoi 26 milioni di abitanti e la sua storica alleanza di ferro con la Francia, il Paese è sempre stato un punto di riferimento economico e politico anche all’interno della Comunità Economica dell’Africa Occidentale (Cedeao), prestando truppe e basi ad ogni intervento che l’occidente ritenesse necessario per pacificare la regione.

UNO STATO IN CUI CONVIVONO 62 gruppi etnici raggruppabili in cinque macro-gruppi e una diversità di confessioni religiose che vede un 40% di musulmani praticanti soprattutto nel nord. Una Costa d’Avorio che ha anche conosciuto violenza e morte, una guerra civile che nel 2010 ha visto i partigiani dei due condidati alla presidenza darsi battaglia per le strade.

Questa è però soltanto la facciata di un Paese impoverito, spaventato e tenuto con il pugno di ferro da un padre-padrone sempre più distante dai bisogno del suo popolo. Parlando con le persone nei mercati della capitale economica Abidjan prevale un atteggiamento guardingo e sospettosi. «Non si parla di politica in Costa d’Avorio- racconta un commerciante che vende chincaglieria al mercato di Treicheville – è un argomento da evitare accuratamente. Chi ne parla sa che bene che la polizia lo verrà a sapere e che ne pagherà conseguenze gravissime. Siamo sempre più poveri, ma il governo vuole raccontare un Paese che non esiste, fatto di pacifica convivenza e di tranquillità, ma è solo propaganda».

La diffidenza verso gli altri è diventata moneta comune in terra ivoriana. «Voi stranieri credete a quello che vi fa comodo – continua una signora intenta a riempire la sua borsa di patate dolci – e fa comodo a tutti una Costa d’Avorio tranquilla e felice in una regione con tanti problemi. Noi qui dobbiamo tenere la testa bassa e non farci notare da nessuno, solo così possiamo tirare avanti».

ALLA GRANDE UNIVERSITÀ di Abidjan la cose non vanno meglio, ma gli studenti hanno meno paura di parlare. «Siamo stanchi di farci comandare da politici anziani sia nell’età che nel modo di governare – protesta uno studente che viene dalle regioni centrali del Paese – ma soprattutto siamo stanchi di avere questo cordone ombelicale con la Francia che ci sta lentamente strangolando».

Tutto viene controllato e anche un giornalista un po’ troppo curioso finisce per essere caricato su una camionetta della polizia militare e portato in caserma per qualche verifica. Un segno evidente che il potere del presidente Alassane Ouattara si basa esclusivamente sulla forza e che ogni forma di dissenso viene eradicata. Gli stessi poliziotti, pronti a chiudere un occhio su foto a obiettivi sensibili e domande in cambio di una mancia, ammettono che hanno ordini precisi su come reprimere e controllare la vita dei propri concittadini.

«QUI LA POLITICA NON ESISTE PIÙ -, tuona Sebastien Dano Djedje ex Ministro della Riconciliazione ai tempi di Laurent Gbagbo- esistono solo i centri di potere. La Costa d’Avorio è tornata ad essere una colonia della Francia. che decide tutto grazie ad un governo più che compiacente. Il legame con Parigi è innegabile per noi che abbiamo studiato da loro, ma oggi dobbiamo pensare al bene del nostro Paese. Questo significa guardare oltre la Francia, guardare alla Cina e anche alla Russia. Nei Paesi vicini ci sono stati dei golpe militari perché i governanti non erano più credibili. Io condanno ogni tipo di violenza, ma questi governi erano lontani dal popolo».

Dano Djedjè, che ha passato un periodo in carcere dopo la guerra civile che ha sconvolto il Paese a partire dal 2002, è anche presidente del nuovo partito politico di Laurent Gbagbo e rappresenta una fetta importante dell’elettorato ivoriano e vede di buon occhio l’arrivo dei russi in Africa. «La Francia sta facendo propaganda per dipingere i russi come un male, ma noi crediamo che sia giusto avere rapporti con tutti – raccontano giovani attivisti del Partito dei popoli africani-CI, la nuova creatura di Gbagbo – la vecchia politica asservita a Parigi non fa i nostri interessi, vogliamo una Costa d’Avorio che lavora fianco a fianco con i vicini, in puro stile panafricano e che dialoga con tutti i grandi della terra».

I SENUFO sono un gruppo etnico distribuito fra Mali, Burkina Faso e Costa d’Avorio che vivono in villaggi e si occupano prevalentemente di agricoltura. Sono stanziati nella zona nord della Costa d’Avorio e vivono in comunità che restano in contatto anche oltre i confini statali. Sono animisti, ma anche cristiani e musulmani, riassumendo così il complesso mosaico del Paese. El Hadj Ouattara Souleymane è un capotribù Senufo che conosce bene la dinamiche della regione dove il suo popolo vive da millenni e che deve anche venire a patti con il governo centrale che approva le nomine dei capitribù. «Noi viviamo a cavallo fra tre stati e fra tre religioni, anche se la grande maggioranza dei Senufo sono animisti. La convivenza è sempre complessa, ma siamo abituati a commerciare con tutti».

LA VIOLENZA JIHADISTA che ha travolto il Mali e colpito più volte il Burkina Faso, ha iniziato a sconfinare sia in Benin che in Costa d’Avorio in un pericoloso domino. «Gli attacchi che hanno colpito la zona a nord di Korhogo negli ultimi mesi sono sempre venuti da oltre confine, così come il terribile attacco dal mare di alcuni anni fa. Gli ivoriani musulmani sono sempre stati moderati e l’estremismo qui non ha mai attecchito, ma non dobbiamo permettere che questa ondata di violenza investa il Paese».

Una Costa d’Avorio in bilico fra apparente democrazia e crudo autoritarismo, con i jihadisti alle porte e una classe politica ferma a un mondo che non esiste più.