La guerra russa in Ucraina, la speculazione sulle materie prime energetiche e alimentari, i blocchi imposti dal Covid in Cina, l’euro schiacciato dal super dollaro, l’aumento dei tassi di interesse e la chiusura delle politiche monetarie da parte della Bce, la deliberata scelta delle classi dominanti di creare una recessione per fermare l’inflazione più alta degli ultimi 40 anni. La combinazione di molte crisi globali in una sola, quella che è stata chiamata “policrisi” capitalistica, ha spiazzato anche la Commissione Europea.

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QUANDO LA CRISI del governo Draghi è stata dichiarata in tutta la sua evidenza ieri pomeriggio il Commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni ha confessato di seguire gli eventi «con preoccupato stupore». E poi ha ribadito la legge che ha identificato in una persona, cioè Draghi, il punto di equilibrio dell’universo. «Navighiamo in acque agitate e ci potremmo trovare a fronteggiare una tempesta, quindi è il momento della stabilità e della coesione nazionale – ha aggiunto l’ex primo ministro del Pd ora a Bruxelles – Se non ci fosse un governo di larghissima maggioranza, in questo momento, si tratterebbe di inventarlo. Creare situazioni opposte certo non favorisce il nostro paese».

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CONSIDERATA la situazione l’indicazione di Gentiloni conferma la crisi di un sistema politico. Nonostante l’implosione di un esecutivo «senza formule politiche» la stella polare resta l’idea che lo ha portato a fallire. La stessa che non ha risolto nulla nella crisi dei debiti sovrani (2008-2013). E che sarà ripresentata nei prossimi anni. È quello che ha fatto capire la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen che ha tenuto a sottolineare «la stretta e costruttiva collaborazione con il presidente del Consiglio Mario Draghi». Mentre un intero edificio che rischia di crollare, l’auspicio è rimetterlo insieme in vista di una strategia, il «Pnrr», che dovrebbe essere garantita da Draghi. E che da ieri rischia di essere superato dalla crisi in atto.

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PER LA COMMISSIONE UE ieri era il giorno di stime economiche. Gentiloni ha ammesso che stiamo passando dal rallentamento alla frenata. Per ora, nel 2022, la crescita nell’Eurozona sarà del 2,6% nel 2022 e dell’1,4% nel 2023. Nell’intero blocco a 27 membri il prodotto lordo crescerà del 2,7% quest’anno e dell’1,5% il prossimo. Nel 2023 si andrà a una possibile recessione nel caso in cui Putin tagliasse il gas. In ogni caso, anche se questo non accadesse, secondo le stime della Commissione sembra essere comunque certo che l’anno prossimo l’Italia perderà l’1% della crescita stimata solo due mesi fa. Il Pil si fermerà allo 0,9% rispetto all’1,9% della precedente rilevazione di maggio. Segnali di rallentamento sono stati registrati già nell’ultimo trimestre con una crescita a meno 0,1. In virtù di un’economia che distrugge i territori attraverso il turismo di massa il prossimo trimestre dovrebbe essere positivo. Grazie a questo modello di economia estrattivistica, basata sull’iperprecariato e la predazione della terra e della natura, dovrebbe tenere artificialmente in vita il Pil nel terzo e quarto trimestre con uno 0,2% ciascuno. Qualora fossero confermati questi dati sarebbero la prova del fallimento della politica affidata a Draghi.

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MAN MANO che passa il tempo, e si comprende il contesto della policrisi, diventa sempre più evidente che la “crescita” festeggiata in Italia dopo il primo anno del Covid era in realtà un “rimbalzo tecnico” seguito al crollo dell’economia più clamoroso in Europa (-8,9%). Nel frattempo nessuno dei problemi strutturali, a cominciare da una vera riforma progressiva del Welfare, è stato affrontato. Anzi, è stato peggiorato dalla guerra del gas usata dai russi per ricattare i paesi europei, a cominciare da Germania e Italia, spalancando scenari inediti. A pesare è la contraddizione  per cui, pur dipendenti dai russi, questi paesi hanno adottato la politica americana tesa a mettere in difficoltà l’Europa e sono andati allo scontro con Putin senza una rete di salvataggio immediata. La caccia all’approvvigionamento alternativo terminerà solo tra due o tre anni. Troppo tardi.

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QUESTA SITUAZIONE si è combinata con la policrisi capitalistica: il ritorno del Covid, la speculazione sulle materie prime, un’inflazione mai così alta da 35 anni: 7,6% nella zona euro , l’8,3% nell’Ue. La Commissione auspica che scenda al 4% e al 4,6% nel 2023, ma su questo ci sono poche certezze. L’inflazione europea è diversa da quella americana (al 9,1): è influenzata dai prezzi dell’energia. L’impennata, dopo anni di disinflazione, ha trascinato i prezzi a livelli che «obiettivamente nessuno aveva previsto» ha ammesso Gentiloni.

SONO IN MOLTI a temere l’impatto dell’aumento, pur modesto, dei tassi di interesse da parte della Bce. Il rischio è creare una spirale recessiva che danneggerà sia l’occupazione che i salari. «I dati disponibili per il primo trimestre indicano un qualche aumento nei salari, ma ce li aspettiamo ancora in declino in termini reali e prevediamo che il potere di acquisto delle famiglie cada» ha detto Gentiloni. Inoltre la «crescita dell’occupazione», sempre e comunque precaria, «dovrebbe attenuarsi».

IL RESTRINGIMENTO delle politiche monetarie non permetterà di finanziare il debito pubblico. Ciò spingerà i governi, a cominciare da quelli italiani, a non fare politiche sociali e investimenti che non siano quelli futuribili del «Pnrr», comunque già condizionati a una logica superata dalla nuova policrisi. Questo significa che gli esecutivi avranno le mani ancora più legate e si limiteranno ad adottare «misure sociali mirate e temporanee». Del tutto inutili per affrontare i problemi, come hanno dimostrato le politiche dei bonus.

IN QUESTA contraddizione si trova anche la Commissione Ue. Gentiloni ha confermato la strada scelta per peggiorare la crisi, in maniera non diversa da quanto è stato già fatto con quella dei debiti sovrani tra il 2008 e il 2013. «La Bce ha avviato un percorso che è assolutamente necessario». Questo è il problema. Con o senza Draghi.