Gas russo, il governo pensa di diventare indipendente in «24-30 mesi»
Guerra in Ucraina La cornice è il piano "Repower Eu" della Commissione Europea che parla di un'indipendenza dei paesi membri "entro il 2030", cioè sei anni dopo il termine annunciato ieri
Guerra in Ucraina La cornice è il piano "Repower Eu" della Commissione Europea che parla di un'indipendenza dei paesi membri "entro il 2030", cioè sei anni dopo il termine annunciato ieri
Nel giorno in cui la Commissione Europea ha annunciato il piano «Repower Eu» che mira a ridurre la dipendenza dal gas russo di due terzi entro fine anno e eliminarla «prima del 2030», il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani ha sostenuto che l’Italia potrà rendersi indipendente dalle energie fossili della Russia al massimo entro due anni e mezzo: «24-30 mesi».
Quello che sembra più un auspicio fatto sull’onda della guerra economica del capitalismo euro-americano contro l’imperialismo nazionalista russo dovrebbe sostituire poco meno della metà dei 29 miliardi di metri cubi di gas, il 40% del gas importato dall’Italia, entro la primavera del 2022. Secondo Cingolani circa 15-16 miliardi di metri cubi di gas potranno essere rimpiazzati da altri fornitori di energia fossile in altre zone del mondo. Questo significa che l’asse della dipendenza del paese si sposterà verso il Qatar, gli Stati Uniti ma soprattutto l’Algeria che aumenterà la fornitura del gasdotto TransMed. Mancherebbero ancora ben 13 miliardi di metri cubi all’appello. Cingolani sostiene che potrebbero essere sostituiti con nuovi impianti di rigassificazione. Ieri ha parlato di uno galleggiante che dovrebbe esser pronto per la metà di quest’anno non è ancora chiaro dove. Ci saranno anche «contratti a lungo termine», il «rinforzo delle infrastrutture».
Il piano di emergenza include anche la riapertura delle centrali a carbone, come già preannunciato dal presidente del Consiglio Mario Draghi. Per Cingolani è preferibile dire: l’uso di quelle già aperte «come Civitavecchia e Brindisi che sono ancora in funzione, e si potrebbero mandare a pieno regime» nei casi di emergenza. In generale, anche Cingolani ieri (e diversi esponenti della Commissione Ue come Frantz Timmermans) ha avvertito che, forse, «dovremmo fare dei sacrifici» ma non si dovrà «fermare nulla». Senza «forse», dato che l’aumento stratosferico dei prezzi delle materie prime, e non solo del gas, è iniziato ben prima della guerra in Ucraina ed è la conseguenza della crisi delle catene del valore innescata dal Covid nel 2020. E i sacrifici li stanno pagando le vittime delle diseguaglianza inflazionistica che colpisce i lavoratori poveri e i poveri. E non solo le imprese. Ieri l’Istat ha detto che nel 2021 c’erano 5,6 milioni persone in povertà assoluta. Un dato che sembra sottostimare le conseguenze della crisi pandemica e quella inflazionistica. Sta di fatto che saranno loro i primi a fare altri «sacrifici». Ma sulla strada della guerra economica, ad avviso di Cingolani, il dado è tratto. E non si torna indietro sulle politiche sociali. Il cosiddetto «reddito di cittadinanza» non copre nemmeno tutta la platea dei «poveri assoluti».
In un momento in cui il fronte euro-atlantico è diviso sulle sanzioni sull’energia di Putin – la Germania ha escluso l’embargo del petrolio russo diversamente da quanto hanno fatto ieri Stati Uniti e Gran Bretagna – in Italia si continua a sperare che Mosca non chiuda i rubinetti del gas da cui guadagna un miliardo di euro al giorno. «Non sono sicuro che loro vogliano chiudere i rubinetti – ha detto Cingolani – Ma se dovessero farlo, per qualche motivo, le riserve attuali e il Piano di emergenza ci darebbero un tempo sufficientemente lungo per arrivare alla stagione buona. Abbiamo ancora un po’ di stoccaggio». Resta da capire se, nel caso di un’augurabile fine della guerra contro l’Ucraina, questi intenti saranno mantenuti e come saranno applicati nella realtà.
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