La Plata, un «covo» di nonne ostinate
Le radici delle Abuelas e delle Madres de Plaza de Mayo stanno in questa città studentesca colpita dalla repressione della dittatura più di ogni altra. Che quando in tv va in onda la conferenza stampa di Estela Carlotto e suo nipote ritrovato, si ferma, con tutta l’Argentina, come al «mundial»
Le radici delle Abuelas e delle Madres de Plaza de Mayo stanno in questa città studentesca colpita dalla repressione della dittatura più di ogni altra. Che quando in tv va in onda la conferenza stampa di Estela Carlotto e suo nipote ritrovato, si ferma, con tutta l’Argentina, come al «mundial»
Il bar dell’università di La Plata, Argentina, un pomeriggio di agosto. Musica, voci. Di colpo, la musica si ferma, le voci si abbassano, tutte le facce si girano con gli occhi alzati verso la tv. «Come al mundial», commenta qualcuno. Ma non è il mundial. Trasmettono in diretta, per intero, senza interruzioni pubblicitarie, la conferenza stampa di Estela Carlotto, presidente delle Abuelas de Plaza de Mayo, e di Guido, suo nipote appena recuperato. È impossibile descrivere l’impatto emotivo per tutta l’Argentina. In un Paese dove gli scomparsi e la dittatura sono ancora memoria aperta e ferita viva, la tenerezza personale verso una anziana signora coi capelli bianchi che ritrova un nipote perduto e cercato da 35 anni si intreccia con il sollievo pubblico di sentire, in tempi difficili, che l’ostinazione, la passione, la lotta ci trasformano da vittime in protagonisti, e non sono sempre invano. Forse è davvero un po’ come il mundial, un’emozione che unisce tutto un paese. Ma è un’emozione di altra profondità e spessore. Certe volte si può sconfiggere il passato.
A La Plata tutto questo è ancora più intenso. Ci vengo da un po’ di anni, e mi vado convincendo che – si parva licet – questa città un po’ anonima dove le strade non hanno nome ma numeri, perpendicolari e diagonali, è un poco come Roma: non puoi fare un passo senza sentire la storia sotto i piedi. Qui, una storia recente che sanguina ancora.
L’università si è appena trasferita da un orribile edificio nel centro («un panoptico», dice uno studente) in questo campus nel verde di edifici immacolati e spaziosi appena restaurati. Volevano farci un supermercato, l’opinione pubblica glielo ha impedito. In passato, era la sede di un reggimento militare, e in questi edifici si praticarono detenzioni e torture. Anni fa, feci un corso in un centro di documentazione che era l’ex sede della polizia politica, con tutti gli schedari ancora lì; molta gente cambiava ancora marciapiedi passandoci davanti, come da noi a via Tasso. Rovesciare il senso di questi luoghi è un modo di ricordare che cosa sono stati per proclamare che non lo saranno mai più.
Laura Carlotto, la figlia assassinata di Estela e madre di Guido, era studentessa di questa università, come anche il suo compagno desaparecido, Oscar Montoya. Fuori del bar, una placca sul muro bianco elenca almeno 150 studenti, docenti, dipendenti dell’università uccisi, desaparecidos, torturati. Il nome di Laura Carlotto è poco sotto quello di Maria Brugnone de Bonafini. Sia Estela Carlotto sia Hebe Bonafini, leader delle Madres, sono di La Plata. Le radici delle Abuelas e delle Madres de Plaza de Mayo stanno qui, in questa città studentesca colpita dalla repressione più di ogni altra, circondata di realtà operaie – praticamente attaccata c’è Berisso, con gli antichi stabilimenti abbandonati dell’esportazione della carne, colorata da murales che ricordano le lotte operaie.
Sto ancora leggendo la placca e passa una ragazza. Me la presentano: è la nipote di un comunista che, ancora studente, fu ammazzato dentro l’università dalla destra, negli anni ’60.
I dottorandi in storia mi hanno portato a conoscere un altro luogo di memoria: la casa Mariani-Teruggi. Era la sede della tipografia clandestina dei montoneros; nel 1976, l’intero isolato fu circondato da unità di tutte le forze armate e di polizia e la casa fu letteralmente sfondata a cannonate coi carri armati e bombardata con bombe incendiarie. Si vedono ancora i buchi e le pareti crollate, la macchina nel garage crivellata di colpi. Morirono Diana Teruggi, trent’anni, e altri quattro compagni. Suo marito Daniel in quel momento si trovava a Buenos Aires; fu catturato e desaparecido poco tempo dopo.
L’anno scorso, il mio ultimo giorno era il 16 settembre, l’anniversari di quella che chiamano «la notte delle matite spezzate». Sotto una pioggia battente seguii il corteo degli studenti che sfilavano per ricordare i sei studenti medi assassinati qui a La Plata nel 1976, e per protestare contro i tagli governativi all’istruzione pubblica. I ragazzi erano colpevoli di avere appartenuto all’unione degli studenti medi, che aveva manifestato chiedendo il boleto estudiantil, uno sconto sui libri e i trasporti per gli studenti. Sovversivi da sopprimere. Entrando oggi in facoltà trovo un cartello: vogliamo il boleto estudiantil.
Carlos Esteban Alaye Dematti era stato un leader dell’unione degli studenti medi. Fu catturato e ammazzato nel maggio 1977.
Parlo a lungo con sua madre, Adelina Dematti Alaye, 87 anni, con le Madres fin dall’inizio. Mi racconta la storia della sua famiglia, a partire dai nonni emigrati intorno al 1870. Di come, cercando le tracce di suo figlio, scoprì che il cimitero di La Plata è pieno di fosse dove la polizia seppelliva senza nome alcune delle sue vittime. Glielo hanno rivelato i falegnami e gli ebanisti a cui la polizia ordinava bare più in fretta di quanto riuscissero a fabbricarle.
In tv, Guido Carlotto dice: l’incontro fra me e mia nonna significa che dobbiamo continuare a cercare ancora. Hanno ritrovato 114 figli e nipoti rapiti, ne mancano ancora quasi 300. Anahí Mariani, figlia di Diana e Daniel, due mesi, fu portata via dalle macerie della sua casa, dagli assassini dei suoi genitori. Non è stata ancora ritrovata.
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