La paura dei rifugiati palestinesi: «Aspettiamo le conseguenze»
Libano Volontari dai campi di tutto il paese arrivano a Beirut per ripulire le strade e le case: «Condividiamo gioia e tristezza». Ma gli effetti dell'esplosione sono all'angolo, con povertà e disoccupazione già aggravate dal Covid. Tra le vittime anche profughi siriani
Libano Volontari dai campi di tutto il paese arrivano a Beirut per ripulire le strade e le case: «Condividiamo gioia e tristezza». Ma gli effetti dell'esplosione sono all'angolo, con povertà e disoccupazione già aggravate dal Covid. Tra le vittime anche profughi siriani
«Qualsiasi cosa accade ai libanesi di solito ha un impatto ancora maggiore sui palestinesi». Così Huda Samra, portavoce dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, sintetizza le conseguenze dell’esplosione che martedì ha raso al suolo il porto di Beirut e devastato la capitale libanese.
Sabra e Shatila, i campi più iconici del Libano, nomi che evocano uno dei peggiori massacri della la guerra civile (migliaia di palestinesi trucidati dai falangisti sotto gli occhi dell’esercito israeliano), non sono vicino all’epicentro. Sono dalla parte opposta: i campi a sud, il porto a nord.
«Siamo distanti ma abbiamo sentito. È stato come un terremoto, un tornado, un rumore fortissimo. Siamo fuggiti tutti in strada, credevamo fosse la terra che si muoveva».
Majdi Adam è originario del villaggio di Amka, vicino Akka. È nato e cresciuto a Shatila, 22-25mila persone in un chilometro quadrato, che aumentano di continuo, tra libanesi poveri e rifugiati siriani. Qui allena la Real Palestine Youth, la squadra di basket femminile.
«A Shatila non abbiamo riportato danni, ma aspettiamo le conseguenze – ci dice – La situazione è pessima, lo era già prima a causa del Covid: nel campo abbiamo registrato molti casi e con il lockdown non stiamo lavorando, c’è molta più povertà di prima».
Nelle ore successive al boato, però, i campi palestinesi si sono subito organizzati per portare aiuto: «Palestinesi e libanesi possono condividere tutto, la felicità e la tristezza. Da Ain al-Hilweh a Sidone ai campi di Tiro e Tripoli, i palestinesi sono partiti con le loro auto per venire a Beirut a dare una mano. Stiamo cercando persone tra le macerie, puliamo le strade e da oggi (ieri, ndr) anche le case dei libanesi per togliere i vetri, i calcinacci».
Per ora ci si concentra sul presente, sull’emergenza. Ma la consapevolezza, tra le vie del campo, è che la crisi sarà amplificata a dismisura. Nei campi, dice Majdi, non ci sono ospedali, solo le piccole cliniche dell’Unrwa: «I palestinesi malati di Covid non possono accedere a quelli privati, costano troppo, e quelli pubblici ti rimandano indietro, alla clinica Unrwa».
E poi il lavoro, sempre più una chimera. Se le proteste dello scorso anno hanno portato a sospendere il provvedimento del governo che voleva introdurre l’obbligo per i palestinesi di un permesso speciale per lavorare (come quello richiesto ai rifugiati siriani), il lockdown è stato devastante per il già basso tasso di occupazione.
A questo faceva riferimento Huda Samra. In un’intervista a Newsweek, la portavoce dell’Unrwa in Libano avverte della bomba a orologeria che aspetta sotto le macerie: «Al momento tutti in Libano temono la mancanza di cibo e di medicinali. Ci sarà di certo un impatto sui rifugiati e sull’Unrwa: non sono in grado di avere entrate sicure, la povertà si sta allargando». E l’agenzia non riesce a sostenere la comunità, il taglio dei fondi Usa ha ridotto programmi e progetti.
A subire le conseguenze del disastro saranno anche i rifugiati siriani, quasi un milione di persone (in calo rispetto al passato) su sette totali. Una parte di loro vive nei campi informali lontano dalla capitale, concentrati al confine con la Siria. Oltre due terzi, secondo i dati Unhcr, ha affittato case o stanze nei campi profughi palestinesi e nelle città, luoghi piccoli, senza servizi, gli unici che riescono a permettersi.
Anche loro sono stati travolti dall’esplosione: «Alcune delle aree colpite sono quartieri che ospitano rifugiati – si legge in una nota dell’Unhcr – Abbiamo ricevuto notizia di diversi morti tra i rifugiati a Beirut. Stiamo lavorando con i soccorritori per identificarli».
«L’esplosione si aggiunge a una grave crisi economica – continua l’agenzia – che ha spinto molti libanesi e rifugiati siriani in una povertà ancora maggiore, aggravata dall’epidemia di Covid». E ora senza un tetto sulla testa ci sono anche famiglie libanesi.
Mancano posti letto in ospedale, rifugi, cibo, una situazione che – è il timore di tanti – potrebbe dare nuova linfa a quella parte di classe dirigente che cerca di scaricare la responsabilità della crisi sui rifugiati, i più poveri di tutti.
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