Visioni

La Passione di Martinu, esperienza migratoria oltre il tempo storico

La Passione di Martinu, esperienza migratoria oltre il tempo storicoUna foto di scena di «The Greek Passion» a Salisburgo

Opera Fino al 27 agosto al festival di Salisburgo «The Greek Passion», l’urgente opera-testamento del compositore ceco tratta dal romanzo di Nikos Kazantzakis «La seconda crocefissione di Cristo»

Pubblicato circa un anno faEdizione del 17 agosto 2023
Andrea PennaSALISBURGO

Mentre molti titoli di Leoš Janácek compaiono ormai stabilmente nelle stagioni liriche europee, soltanto dalla fine del secolo scorso le opere di Bohuslav Martinu hanno guadagnato l’attenzione dei festival e di alcuni teatri di primo piano. L’approdo al Festival di Salisburgo di The Greek Passion per la regia di Simon Stone può segnare una svolta per il capolavoro teatrale di Martinu. Ultima di un ricco catalogo di quattordici titoli in cui spiccano Julietta e Mirandolina, l’opera è tratta dal romanzo La seconda crocefissione di Cristo di Nikos Kazantzakis e in Italia è stata proposta solo nel 2011 dal Teatro Massimo di Palermo. Martinu stesso adattò per la scena la traduzione inglese del romanzo in stretta collaborazione con Kazantzakis, con cui condivideva l’esperienza di esule.

LA STORIA è incentrata sull’arrivo in un villaggio greco di un gruppo di profughi di guerra, che i maggiorenti della città e il pope Grigoris scacciano sulle montagne vicine. Il pastore Manolios, prescelto per interpretare Cristo nella sacra rappresentazione della Pasqua, i suoi compagni e la prostituta Katerina, designata per Maddalena, prendono invece le parti dei profughi e del loro pope Fotis, che predica la carità e la condivisione. Le tensioni aumentano e infine Manolios viene scomunicato e ucciso dai compaesani, mentre i profughi ripartono. Dolorosamente attuale oggi come allora – nel 1958 il Covent Garden rinunciò a mettere in scena la prima versione anche a causa del concomitante conflitto civile a Cipro – The Greek Passion è un manifesto dello stile maturo di Martinu, al tempo stesso eclettico e inconfondibilmente personale.

I quattro atti dell’opera nella seconda versione, creata postuma a Zurigo nel 1961, danno vita a una narrazione serrata e concisa ma anche poetica: ampi interventi corali segnano i momenti salienti del dramma, scanditi dagli antichi modi delle liturgie bizantine. Tuttavia nella scrittura orchestrale e vocale Martinu distilla una sintesi molto vivida di stili che vanno dalla lezione di Debussy e Roussel, specie nell’uso dei fiati, all’estroversione melodica della tradizione ceca, attingendo al canto tradizionale greco, a dissonanze stravinskjiane fino a rimandi all’esperienza della musica americana. Una varietà armonica e timbrica resa con delicatezza e intensità da Maxime Pascal alla guida dei Wiener Philharmoniker e sostenuta dalla sonorità rigogliosa del coro dell’Opera di Vienna. L’apparente semplicità delle melodie si colora di continui slittamenti e modulazioni, con improvvisi scarti verso l’atonalità alternati all’emergere di sonorità arcaiche. Piena l’adesione stilistica degli interpreti, dal Manolios tormentato del tenore Sebastian Kohlhepp all’accesa Katarina del soprano Sara Jakubiak, che per il protagonista incarna al contempo il desiderio e la tentazione dell’amore carnale. Le due voci gravi, quella autoritaria del pope Grigoris, cantato da Gabor Bretz e l’effusione lirica e solenne del Padre Fotis, Lukasz Golinski esprimono i sentimenti contrastanti delle due comunità. La scenografia di Lizzie Clachan trasforma la Felsenreischule in spazio neutro trasformato di continuo mediante l’apertura di botole e finestre, secondo l’incedere di musica e dramma. L’ultimo ordine delle arcate di roccia lasciato a vista simboleggia l’aspra montagna dove si accampano i profughi, raggiunti da Manolios coi suoi. Nel villaggio si portano pesanti abiti grezzi senza tempo, la folla colorata dei rifugiati ci ricorda invece gli odierni migranti dei campi di Moria, di Lesbo e delle coste italiane.

DAI QUADRI di taglio naturalistico, dalla morte del vecchio profugo alla salita in montagna con l’asino di Yannakos-Pietro, il toccante Charles Workman, si passa alle atmosfere mistico-simboliche delle visioni di Manolios o delle scene di passione inespressa con Katerina, in contrasto con la seduzione di Lenio, sposa promessa di Manolios, da parte del pastore Nikolio. Due formule fuse nell’epilogo, dopo le nozze di Lenio: Julian Hubbard, Panais-Giuda, guida il gruppo che assassina Manolios davanti a tutti. Il sangue di Cristo è sparso ancora una volta, risuona il canto di Pasqua e i profughi riprendono il cammino. I quindici minuti di applausi la sera del 13 agosto, con il pubblico commosso e in piedi a festeggiare gli interpreti, lasciano sperare che per The Greek Passion sia arrivato il tempo del riscatto.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento