L’unico metro di produttività in capo alla politica, cioè la capacità di fare leggi, decreti attuativi, regolamenti e tutto quel corpo di norme in cui si deve sublimare il lavorio dei decisori politici, segnala lunghi ritardi.
Le energie rinnovabili sono tra le vittime illustri di tali lentezze.

Per avere un riscontro oggettivo è molto utile il “ritardometro” – un calcolatore dei ritardi nell’emanazione dei provvedimenti che dovrebbero permettere la transizione energetica ed ecologica. Si tratta di uno strumento creato da Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura, l’associazione confindustriale che rappresenta i produttori del 70% della generazione elettrica di ogni tipo in Italia.

Fare l’elenco di tutti provvedimenti ritardatari sarebbe qui troppo lungo. Vale la pena però soffermarsi su tre di essi. Particolarmente esplicativi del perché in Italia l’andamento della transizione energetica sia così lento già a monte, cioè a livello di sola impostazione legislativa, prima ancora che si arrivi a dover poi attendere le autorizzazioni sul campo per molti anni, per poter installare un parco eolico, ad esempio.

Individuazione aree idonee: in ritardo di oltre 7 mesi. Il Ministero della Transizione ecologica, n ribattezzato dell’Ambiente e dell’autonomia energetica, avrebbe dovuto pubblicare i criteri che le Regioni devono seguire per identificare le aree idonee ad ospitare i nuovi impianti delle rinnovabili.

Nonostante siano già state identificate aree idonee di default per la collocazione degli impianti, molte Regioni temporeggiano preferendo aspettare l’arrivo del decreto ministeriale prima di emanare le rispettive leggi regionali di dettaglio.
Crediti d’imposta per le aziende del Sud che investono in rinnovabili ed efficienza energetica: in ritardo di oltre sei mesi. Tra i tanti ritardi normativi, questo è particolarmente criticabile, in quanto riguarda aziende svantaggiate rispetto alle imprese delle altre regioni a causa delle maggiori debolezze infrastrutturali e istituzionali del meridione.

La norma prevede crediti d’imposta del 45% per le piccole imprese, del 35% per le medie imprese e del 25% per le grandi, con un fondo di dotazione pari a 145 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023. Il decreto che stabilisce i criteri e le modalità di attuazione delle disposizioni, tuttavia, non è ancora stato emanato, il 2022 è già passato e, a meno di rimettere mano alla legge, rimarrebbero disponibili solo i fondi per quest’anno, sempre ammesso che anche il 2023 non passi invano.

Comunità energetiche e autoconsumo: in ritardo di oltre 9 mesi. Il Pnrr prevedeva, entro marzo 2022, un decreto ministeriale con le modalità per aggiudicarsi i nuovi incentivi e la comunicazione sull’apertura del bando e della piattaforma per inviare le candidature dei progetti. Entro marzo 2023 era previsto il finanziamento dei progetti.

La mancata articolazione di dettaglio del funzionamento e degli incentivi per le comunità delle energie rinnovabili è biasimevole anche perché il nuovo incentivo previsto per l’autoconsumo di tali configurazioni andrà a sostituire da fine 2024 lo Scambio sul posto, cioè il meccanismo che finora ha garantito la redditività degli impianti e i loro ricavi a prescindere dal fatto che si riuscisse a massimizzare la contemporaneità fra produzione e consumo. Senza sapere, fra le altre cose, quale sarà e come funzionerà il nuovo incentivo non c’è da sorprendersi se in Italia la nascita delle comunità dell’energia rinnovabile è un evento raro, rispetto ad altri paesi. E intanto continuiamo a tutto gas.

*Segretario radicali italiani