Sarà una grande giornata. Saremo in tanti a manifestare per la pace. Ma tantissimi mancheranno. Eppure tutti siamo già oggi vittime della guerra che si prolunga, e vittime senza scampo se si arriverà a un confronto nucleare. Sarà bene allora cominciare a chiedersi perché la paura dell’atomica non sia così diffusa, e non metta in moto tutte le energie e le mobilitazioni necessarie.
Gunnther Anders, il filosofo che intervistò il pilota di Hiroshima, e che fece della lotta contro l’atomica e contro l’equilibrio del terrore lo scopo della propria vita, constatò come fosse difficile far percepire alle donne e agli uomini del suo tempo il pericolo atomico. “Occorre un surplus di immaginazione per rendere visibili agli umani fatti che sono sovraliminali, che sono cioè al di sopra della nostra capacità di percezione, come lo stermino dell’umanità ad opera della bomba atomica”.

Eppure di fronte all’indifferenza di molti, e alle menzogne dei potenti e dei media dell’Occidente – si predicava allora la resilienza possibile all’atomica, con la possibilità di costruire rifugi nucleari di tanti tipi, e più o meno per tutte le tasche- centinaia di migliaia di giovani in tutto il mondo si misero in moto per il disarmo nucleare. Erano gli stessi giovani che immaginavano un mondo diverso, più eguale e più libero, che contestavano ogni forma di razzismo e la morale patriarcale, e che volevano “mettere i fiori sui vostri cannoni”. Il pericolo poteva essere immaginato perché si rifiutava un presente fatto di ingiustizie e di disuguaglianze, e si immaginava un altro mondo possibile.

Perché la mobilitazione contro la guerra e contro l’atomica metta radici nel senso comune di un popolo vasto credo sia necessario impegnarsi per ridare al popolo la capacità di immaginare il futuro. Compito difficile. Lo schiacciamento sul presente non è solo opera dell’edonismo consumista di chi dentro la crisi se la sta cavando- quelli felici che a novembre ci sia ancora così caldo da poter stare in spiaggia- ma riguarda anche i tanti che giorno per giorno devono trovare il modo di mettere insieme il pranzo con la cena, quanti devono scegliere fra curarsi o comprare il necessario per mandare a scuola i figli, quelli che fanno un lavoro precario e senza un domani, e i ragazzi che stanno a scuola senza avere più quelle aspettative di un futuro migliore che permettevano loro di sopportare di stare a scuola senza gioia.

E tutti viviamo i segni sulle nostre vite del riscaldamento climatico, della siccità che prosciuga le fonti dell’agricoltura, dei temporali che diventano bufere distruttive di cose e di vite. Ci stanno insegnando ad adattarci anche a questo. Attraverso le grandi virtù della resilienza che ci permetterà di sopravvivere, se avremmo la forza di girare lo sguardo sulle tragedie degli altri. Dei poveri della terra che già oggi muoiono sui campi deserti o allagati dei loro paesi, o in mare mentre cercano di scappare da un mondo di violenza e di fame.

Se crollano le proprie aspettative di futuro, viene meno anche la capacità di preoccuparsi per il futuro del mondo. Se si accetta senza reagire la fine del genere umano nel giorno per giorno del riscaldamento climatico e della crescita della miseria, si finisce per convivere anche con l’idea della possibile fine di tutto, tutto in una volta.
E’ ancora una volta da Papa Francesco che ci viene l’indicazione di tenere insieme giustizia ambientale, giustizia sociale e l’iniziativa per la pace e il disarmo. Chi sarà in piazza il 5 novembre credo sia consapevole che si sta iniziando una lotta di lunga lena. Che non sarà facile piegare alla logica del negoziato e della pace chi ha fatto della guerra la propria industria di punta. A Est come a Ovest.

Ma se si vuole far durare la mobilitazione, farla crescere in ampiezza, mettere radici nel senso comune delle grandi masse popolari, dovremmo congiungere la mobilitazione contro la guerra alle iniziative necessarie per ridare alle persone la capacità di immaginare il futuro. Il futuro del lavoro, il futuro della terra, il futuro del vivente, del genere umano, degli animali, delle piante.
Le forze che saranno insieme in piazza hanno dentro di sé, insieme, le intelligenze e le energie per affrontare questo compito. Ci sarà il sindacato, e i ragazzi del venerdì, e le tante associazioni laiche e cristiane che si impegnano ogni giorno per dar da mangiare agli affamati e dar da bere agli assetati. Dovranno imparare a stare insieme anche dopo, in un progetto di lunga durata.