Le fiamme sono divampate all’improvviso e violentemente nella raffineria di Klintsy. Nella notte un drone ucraino ha colpito un deposito di idrocarburi, il secondo in pochi giorni dopo quello nei pressi di San Pietroburgo, in territorio russo. Oltre 140 pompieri, richiamati anche dagli altri centri della regione di Bryansk, hanno lottato per tutta la giornata contro un incendio ostinato, che ha mandato in fumo non si sa quante tonnellate di greggio. Il tutto su uno sfondo completamente bianco, con la neve che ricopre il piazzale antistante i grossi silos e il vento gelato a deviare il getto delle pompe idrauliche.

KLINTSY si trova in una delle aree più occidentali dello sconfinato territorio russo, una gobba tra l’Ucraina e la Bielorussia, quasi a metà del continente. A pochi chilometri, in territorio ucraino, Chernihiv, bersagliata tremendamente negli ultimi due anni, e Gomel, in Bielorussia, dove si temeva che potessero passare i mercenari della Wagner allo sbando dopo l’attentato all’ex comandante Prigozhin. Stavolta Kiev ha rivendicato subito l’attacco, una fonte del Gru, l’intelligence militare, ha confermato all’agenzia France Presse che si è trattato di un drone, il cui obiettivo era proprio il deposito di Klintsy. Per il governatore della regione russa colpita, Alexander Bogomaz, il velivolo senza pilota «è stato intercettato dai sistemi di difesa russi e, una volta distrutto, ha sganciato munizioni su un deposito petrolifero provocando un incendio». Bogomaz ha anche specificato che altri due droni «sono stati intercettati, senza provocare danni a persone o cose, nei distretti di Pogarsky e Unechsky» nella stessa regione. Dunque si trattava di un attacco in forze, esempio perfetto di ciò che scrivevamo qualche settimana fa sul cambio di strategia di Kiev: colpire dalla distanza senza mettere a repentaglio la vita dei soldati e cercare di ottenere il maggior clamore possibile, sia dal punto di vista tattico sia da quello mediatico.

Le raffinerie nei pressi del confine sono strutture importantissime per la macchina bellica russa. Riempiono le cisterne destinate al fronte, nei territori ucraini occupati, senza le quali la fanteria sarebbe inutile. Chi non ricorda le immagini dei vecchi carri armati russi abbandonati nelle campagne ucraine e trainati dai trattori nei primi mesi del 2022? Si trattava di mezzi corazzati che si erano spinti oltre il punto di non ritorno, che in questo caso non è un eufemismo ma un preciso numero di chilometri che il carro può percorrere per poi tornare indietro. Se lo si supera c’è bisogno di rifornimenti, che vicino alla linea degli scontri sono molto difficili da ottenere, soprattutto se si pretende di avanzare. È la famosa «catena di approvvigionamento» senza la quale un esercito è praticamente zoppo.

SONO PASSATI quasi due anni da quei giorni e la guerra in Ucraina continua senza lasciar intravedere spiragli di pace. Vladimir Putin e il suo Stato maggiore attendono pazientemente che l’Occidente si dimentichi di Zelensky, il quale ha ripreso a viaggiare senza sosta per cercare finanziamenti e armi ed è appena rientrato da Davos con tante promesse e pacche sulle spalle ma pochi accordi scritti. I fondi straordinari Usa richiesti dal presidente Biden e fermi al Congresso da novembre non sono ancora stati sbloccati. Strano che non si accusi Washignton di schizofrenia visto che per due anni chiunque si è rifiutato di aiutare l’Ucraina (o ha mostrato il minimo dubbio) è stato subito tacciato di «putinismo» o di comportamento divisivo. Del resto, la campagna elettorale statunitense è entrata nel vivo e l’Ucraina è un terreno di scontro in primo piano. Ma se la Casa bianca è costretta ad attendere e a occuparsi con più premura di Israele, gli eserciti impegnati in est Europa non riposano affatto. Secondo il Financial Times, «la Russia potrebbe pianificare una grande offensiva di terra in Ucraina nell’estate del 2024». L’obiettivo potrebbe essere la «completa occupazione del Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia», ovvero le 4 regioni annesse per decreto presidenziale, in seguito ai referendum-farsa di fine settembre 2022, dal Cremlino.

AL DI LÀ dell’indicazione temporale, l’ipotesi che i generali russi tentino di «concludere l’opera» iniziata il 24 febbraio è decisamente realistica e i vertici ucraini lo sanno, per questo gli attacchi agli snodi logistici russi e le richieste di supporto all’Occidente non faranno che aumentare.