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«La nostra è una protesta civica, il sindacato non sta con Puigdemont»

«La nostra è una protesta civica, il sindacato non sta con Puigdemont»Corteo della Tavola per la democrazia, con la sindaca di Barcellona Ada Colau; sotto Michela Albarello

Ccoo Catalogna «Tutti gli indipendentisti sono indignati, ma non tutti gli indignati sono indipendentisti. È chiaro che oggi il confine è labile». Per Michela Albarello della costola regionale di Comisiones Obreras, «se si parlasse del lavoro tanto quanto si parla di patria e nazione ci sarebbe un’altra aria. Migliorare le condizioni dei lavoratori non è altrettanto sexy»

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 4 ottobre 2017

Ccoo (Comisiones Obreras) è il principale sindacato spagnolo, la sua costola catalana fa parte della cosiddetta «Tavola democratica», nata la settimana scorsa sulla scorta degli abusi della polizia nazionale nei giorni precedenti alla celebrazione del referendum. Davanti alle immagini di violenza, domenica pomeriggio, Ccoo Catalogna ha deciso di convocare una protesta per oggi, una «fermata civica», che coincideva con lo sciopero generale proclamato da alcune sigle minori per appoggiare l’indipendentismo. Per spiegarci questa complicata situazione, abbiamo parlato con Michela Albarello, torinese, segretaria di internazionale e cooperazione di Ccoo Catalogna.

«Noi partecipiamo alla ’fermata civica’, uno ’sciopero civico’, non allo sciopero generale. È una rivendicazione per protestare contro l’attacco repressivo, brutale e sproporzionato dell’1 ottobre».

INtervista a destra albarello
Non temete di essere schiacciati su posizioni indipendentiste?

Ccoo ha sempre difeso il «diritto a decidere» e che il popolo catalano possa esprimersi in un referendum con le condizioni necessarie per essere vincolante. Per noi le rivendicazioni per i diritti nazionali vanno sempre a braccetto con quelle per i diritti sociali. È chiaro che oggi il confine fra gli indipendentisti e gli indignati è labile. Tutti gli indipendentisti sono indignati, ma non tutti gli indignati sono indipendentisti.

D’accordo, ma in piazza c’erano soprattutto bandiere indipendentiste.

Il pericolo di confusione c’è. Le rivendicazioni sono sempre mescolate. Noi vogliamo protestare fermamente per quello che è successo, per come si comporta il governo del Pp e per la sua incapacità politica di dare una risposta. L’unica strada possibile è quella del dialogo, non quello della polizia e della magistratura.

Vi mettete dal lato del governo catalano in questo frangente?

No. Siamo la prima organizzazione sociale in Catalogna. Rispettiamo la pluralità della società, al nostro interno ci sono federalisti, indipendentisti e anche altre posizioni. Noi rappresentiamo solo la classe lavoratrice e i suoi diritti.

Come definirebbe quello che è successo domenica?

Condanniamo fermamente l’azione del governo spagnolo, la cui durezza e ingiustizia non può non indignare qualsiasi persona democratica nel mondo. Si è trattata di una violazione flagrante dei diritti civili.

Podemos ha attaccato il governo anche per gli ordini «irresponsabili» dati alla polizia. Siete d’accordo?

Le forze dell’ordine non possono iscriversi a un sindacato di classe. Per cui su questo punto non abbiamo preso posizione. Posso solo dire che in uno stato democratico la responsabilità della violenza è di chi la ordina e di chi la esercita.

Se il Govern di Puigdemont dichiarasse l’indipendenza, Ccoo come reagirebbe?

Non l’appoggeremmo. Siamo per una soluzione dialogata, di consenso per non aumentare la tensione in Catalogna.

Perché oggi la «fermata» organizzata in poche ore ha più successo dei vostri scioperi?

In un anno e mezzo abbiamo organizzato tre scioperi generali contro la riforma del lavoro del Pp votata anche da uno dei soci di governo in Catalogna, Convergència. Quando è un problema del mondo del lavoro noi diamo una risposta. In questo momento il problema è più ampio e coinvolge tutta la società, dagli imprenditori alle istituzioni, alle scuole e all’università.

Sono più bravi gli indipendentisti di voi sindacalisti?

Il nazionalismo si sta preparando da anni, c’è un’efficace macchina politica e mediatica che lo fomenta. Se si parlasse delle condizioni lavorative delle persone tanto quanto si parla di patria e nazione ci sarebbe un’altra aria. Migliorare le condizioni dei lavoratori non è altrettanto «sexy».

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