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La normalità della guerra e i «pacificati»

La normalità della guerra e i «pacificati»Proteste a Mosca contro la guerra in Ucraina, Aprile 2022 – Getty Images

Pacifismo Dopo l’89 il conflitto armato permanente ha assunto caratteri feroci nella determinazione dei dominanti di incistare i dominati nella naturalità della condizione subalterna

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 9 dicembre 2022

«Io, come la Teresa Batista di Jorge Amado, sono stanca di guerra». L’affermazione (14/5/ 2008) è di Angela Finocchiaro, una delle più importanti dirigenti del Pd nel primo periodo della sua storia. Stanchezza per una guerra contro un avversario che appare invincibile. La sconfitta catastrofica di fine secolo avrebbe dimostrato irrimediabilmente la mancanza di alternative al di fuori del «capitale totale».

Si tratta di un elemento esplicativo tutt’altro che secondario delle culture e delle pratiche della «sinistra per simmetria» negli ultimi tre decenni. Teresa Batista, peraltro, è sì stanca, ma alcune battaglie della sua personale liberazione le ha vinte. Il capolavoro di Amado si conclude con un atto creativo, il concepimento di un figlio, proprio dopo che Teresa ha vinto una di queste battaglie. Su tale piano ella si pacifica con gli aspetti più duri del proprio passato. La sua guerra, di sfruttata e venduta, è altra cosa; una realtà con cui Teresa non si può pacificare.

La stanchezza della «sinistra per simmetria» è invece desiderio di uscire dalle «sconfitte del Novecento». È desiderio di «normalità». Quella «normalità» che Massimo D’Alema aveva delineata in un libro fondante della nuova «ideologia» per gli sconfitti. Per non rimanere tali avrebbero dovuto giocare nel campo e con le regole dei vincitori. Un campo, appunto, cioè uno spazio che ha solo la dimensione della superficie su cui lo sguardo può posarsi, preferibilmente dall’alto. Il gioco politico è connotato nei limiti delle autorappresentazioni e la dinamica sociale si svolge secondo una normale conflittualità. I pacificati si sono liberati dal gravoso fardello che ha oppresso per più di un secolo e mezzo l’«uomo socialista».

L’«essere come tutti», felice espressione intorno cui ruota un libro di Francesco Piccolo, è suonata come un «liberi tutti». Liberi dall’impegno di misurarsi quotidianamente con il nocciolo duro di una guerra permanente che non è mai cessata. Anzi, nei trenta anni ingloriosi, ha assunto caratteri feroci nella determinazione dei dominanti di incistare i dominati nella naturalità/normalità della condizione subalterna. Una guerra che si combatte in una molteplicità di forme, ben compresa quella dello scontro armato. Come ho detto i pacificati guardano, quasi sempre dall’alto, una superficie.

La normalità della superficie prevede solo increspature, non profondi e tragici scoscendimenti. Per loro l’attuale drammatica frattura che si è prodotta nella normalità del campo è stata causata dall’aggressione (vera) della Russia putiniana. Si potrà ricomporre solo con la sua fine, cioè con la vittoria delle forze del bene. E la Nato è la forza del bene per eccellenza, nel senso che è la forza materiale senza la quale non è possibile la vittoria.

Non è quindi necessario per i pacificati di sinistra alcun lavoro di analisi sulla Nato reale, sul rapporto esistente tra il suo ruolo in una guerra in cui l’aspetto locale e quello globale non sono separabili, e gli obbiettivi dell’organizzazione nell’ultimo trentennio. Per loro semplicemente tale rapporto non esiste.

Se lo sguardo prospettico sul momento attuale, invece che dalla superficie, lo facciamo partire dal basso, cioè dal profondo, secondo la grande lezione analitica di Hilferding, di Rosa Luxemburg e di tanti dei nostri grandi maestri della tradizione socialista, allora entriamo davvero nella sfera di una realtà di lungo periodo per niente pacificata.

Dalle guerre che hanno portato alla dissoluzione della Jugoslavia ad oggi, proprio la guerra è stata la normalità del mondo, un aspetto fondamentale dei modi della globalizzazione dopo la «fine del comunismo». Non sono state e non sono guerre per «errore», anche se i fautori hanno fatto spesso errori di valutazione sull’andamento del processo bellico.

Le ragioni addotte: denazificazione dell’Ucraina, esportazione della democrazia, difesa preventiva contro armi di distruzioni di massa, difesa dell’autodeterminazione dei popoli, sono elementi simbiotici alla propaganda di guerra.

La ridefinizione dei rapporti di forza tra le differenti oligarchie protagoniste della fase in corso, poggia sulla razionalità di un intreccio solidissimo di interessi materiali vitali al mantenimento dei rapporti di dominio. In tale contesto i dominati non possono essere pacificati, bensì radicalmente pacifisti. Devono caricarsi ancora sulle spalle il fardello dell’uomo socialista.

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