«I pacificatori non sono provocatori né con i moldavi, né con gli ucraini». Tatiana lo afferma in modo equivocabile nella cucina della sua casa di Pervomaisc, all’estremo sud della Transnistria. Una cinquantina di km a est della dogana con la Moldavia, ma a mezzo chilometro dal confine ucraino. A separare Pervomaisc e Pavlivka solo il fiume Kuchurhan. La incontriamo in un pomeriggio assolato e freddo, mentre racconta del rapporto tra russofoni e ucrainofoni nel piccolo paese a ridosso della Bessarabia.

«I pacificatori», come li chiamano tutti qui, sono i militari russi della 14esima armata di guardia, presenti in Transnistria da oltre trent’anni.
Terra di nostalgismo sovietico, luogo di vari contrabbandi, cerniera euroasiatica, hub bancario, corridoio di transito di merci e militari. Pridnestrovie, come viene chiamata dalla popolazione locale, è una repubblica autoproclamata nel 1992, all’indomani della fine dell’Urss. Un lembo di terra tra i rumeni e i russi, stretto come la Liguria e poco più esteso del Lussemburgo. Cosa accada realmente qui sono davvero in pochi a saperlo. 

PER LA COMUNITÀ internazionale la Transnistria è una regione della Moldavia. Ma i telefoni con sim moldava vanno in roaming, non si accettano gran parte delle carte di credito occidentali, la moneta è il rublo transnistriano e dalla repubblica moldava è separata da una dogana ben presidiata. Fino a fine febbraio di questo luogo si era parlato solo a proposito dello Sheriff Tiraspol, la squadra di calcio della capitale, che con i capitali dell’oligarca locale Viktor Gusan è riuscito lo scorso settembre nell’impresa storica di espugnare il Bernabeu di Madrid in Champions League, in una storia che intreccia sport, monopoli commerciali e il partito (unico) Obnovlenie.
Poi l’invasione dell’Ucraina ha cambiato di netto la percezione della posizione della Transnistria nello scacchiere europeo. L’influenza socio-economica e culturale che esercita la Federazione russa è molto rilevante. La presenza di 1.500 militari – secondo i russi, per moldavi e ucraini sarebbero invece oltre cinquemila – destabilizza Kiev e preoccupa l’occidente, per la posizione strategica della regione, in ottica di una “chiusura” all’Ucraina del mar Nero.

LO SCORSO 2 APRILE lo stato maggiore delle forze armate ucraine ha dichiarato che la 14esima armata aveva ricevuto l’ordine di concentrarsi e riallocarsi in direzione del confine con l’Ucraina, pronta per l’avanzata verso Odessa, a sud-est. La notizia è però stata smentita qualche ora dopo, sia dal ministero degli esteri transnistriano, che dallo stesso governo moldavo, il quale dichiarava che «non ci sono informazioni per confermare la mobilitazione delle truppe russe nella regione della Transnistria».
Da tre decenni Chisinau considera la regione come parte della repubblica moldava, come stabilito dagli accordi internazionali. Il governo non ha alcuna intenzione di soffiare benzina sul fuoco, e anzi dall’inizio della guerra l’impressione è che si tenti di rassicurare il più possibile la popolazione rispetto a possibili minacce filo-russe provenienti dalla Transnistria. D’altro canto è chiaro che in una situazione del genere, almeno per ora i muri dei tank russi vengano rivolti alla frontiera ucraina a est, non a quella moldava.

Da Chisinau si percorre la R2 verso est per una sessantina di km. La dogana tra Moldavia e Transnistria arriva dopo un lunghissimo rettilineo recintato da migliaia di noci. Non è permesso entrare nel paese come giornalisti se non si ha un permesso delle autorità governative. Tra la dogana moldava e quella transnistriana ci sono due jersey di cemento tra i quali bisogna rallentare per farsi riconoscere dai «pacificatori» russi. Bender, attraversata dal fiume Dnestr (che traccia da nord a sud il confine tra i due Paesi) è la prima città controllata dalle autorità transnistriane. Ha pagato la guerra degli anni Novanta con centinaia di vittime civili. Poco più a est c’è Tiraspol, dove vive oltre metà della popolazione.

NELLA CAPITALE sono evidenti le contraddizioni e le peculiarità di questa repubblica, riconosciuta solo da altre nazioni a loro volta non riconosciute (Artsakh, Ossezia del sud e Abcasia). Dove tutti dicono ci sia una forte presenza di contrabbando di armi, di droghe e di tessile contraffatto. Dove, ad ogni modo, si preferisce il silenzio alla luce dei riflettori.
Ci troviamo a meno di venti km dalla guerra, ma è evidente la quiete con la quale accoglie Tiraspol. La bandiera nazionale – l’unica al mondo ad aver mantenuto falce e martello – campeggia ovunque, così come l’effigie di Lenin, raffigurata in una statua alta decine di metri che domina il piazzale antistante un edificio governativo. Ci sono poi i carri armati russi a far da monumenti, Karl Marx a prestare il suo nome per il viale principale e le tombe dei caduti nella guerra di indipendenza addobbate a fiori e terra fresca.

TUTTO QUESTO convive con marchi dell’abbigliamento italiano, un ordine urbanistico e una pulizia tra le strade che colpisce. Mentre su un grande monumento alle ultime guerre dei transnistriani – con l’armata rossa nel secondo conflitto mondiale, in Afghanistan, e per l’indipendenza dalla Moldavia negli anni novanta – viene lasciata una parete completamente vuota, come a profetizzare che, prima o poi, un’altra guerra ci sarà.
Non la pensano così Tatiana e la sua famiglia. Lei è di Chisinau, ma si è trasferita a Pervomaisc quattro anni fa. In Moldavia non trovava case alla portata del suo reddito, e suo padre era originario della zona.

Hanno saputo della guerra da internet: «Abbiamo subito ricevuto chiamate da amici e parenti dalla Moldavia – racconta Tatiana – ma ci davano informazioni sbagliate fin dal primo giorno della guerra. Qui sentiamo sicuri, grazie ai pacificatori russi».
Il 4 marzo le persone che abitano in zona si sono spaventate per le esplosioni che hanno fatto saltare parte del ponte ferroviario sul confine, sulla linea Chisinau – Odessa. Diverse cariche, nella parte in territorio ucraino del ponte, volte a interrompere un passaggio tra i due Paesi.

«NOI QUI non vogliamo aggredire proprio nessuno – afferma ancora la donna – anzi, ho paura che chiamino in guerra mio marito, che ha fatto il militare nel mar Baltico. La Russia sta liberando parte dell’Ucraina dai nazifascisti. Non è un’invasione ma una guerra di liberazione, come quella che ha combattuto mio padre negli anni ‘40. Il problema non è con la popolazione ucraina ma con le forze del Donbass e la causa sono i mancati accordi di Minsk». Tatiana vive ai margini di un Paese non riconosciuto, in un piccolo centro al confine con un luogo in guerra ma sembra essere determinata nelle sue convinzioni, influenzate dal racconto russo della guerra che vede e ascolta in tv.

DICE CHE LA RIVOLTA di Maidan a Kiev, nel 2014, è stata così impattante da aver «fatto separare le famiglie» composte da russofoni e ucrainofoni. Ci chiede quale sia la percezione della Transnistria in Italia, le rispondiamo che quasi nessuno la conosce. Ci tiene a specificare che nel suo Paese vengono accolti i profughi ucraini (tra 15mila e 25mila a seconda delle fonti transnistriane o moldave) e che presto tornerà a parlare con i suoi amici di Pavlivka.
In fondo devono sperarlo in molti, su entrambe le rive del fiume Kuchurhan, che divide la nazione che non c’è e i suoi vicini in guerra.