ExtraTerrestre

La montagna che rinasce con i migranti

Reportage A 1.250 metri di altitudine, davanti al Monviso, il comune di Ostana è stato ripopolato dai richiedenti asilo. Che hanno rimesso in moto l’agricoltura

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 10 gennaio 2019

Ostana guida la riscossa del mondo dei vinti. Dimostra che lo spopolamento della montagna non è un morbo endemico, che lassù si progetta un futuro migliore e si sperimenta un’accoglienza vera. «Sono fuggito dalla persecuzione religiosa in Pakistan, una volta arrivato in Libia ho attraversato il mare e sono stato salvato da Open Arms». Rashid, 34 anni, ha gli occhi lucidi, la sua è una vita avventurosa, troppo per una persona così mite. La racconta mentre controlla le capre Cashmere e due alpaca. Qui, davanti alla vetta del Monviso, in località Durandin, a 1.650 metri d’altezza fa il pastore, gli piace, ma a Marot, nel suo Paese, era un elettricista, fino a quando la sua bottega fu assaltata. La sua comunità ahmadi è perseguitata e non difesa dal governo di Islamabad. Nel 2010, due moschee Ahmadiyya sono state vittime di un violento attacco terroristico compiuto dai taleban pakistani, con oltre ottanta morti. Ora, Rashid, spera di ottenere il ricongiungimento familiare: «Vorrei mi raggiungessero mia moglie e i miei due figli». Dipenderà tutto dalla commissione che valuterà la sua richiesta di asilo.

La rinascita di Ostana, in provincia di Cuneo, a 1.250 metri d’altezza all’ombra del Re di pietra, parte da lontano. E porta per buona parte la firma di Giacomo Lombardo, stazza imponente, suoneria del telefono Se chanto, la canzone occitana per eccellenza. Attuale sindaco del comune, la prima volta è stato eletto nel 1985 quando la sua amministrazione decise di puntare sul rilancio della montagna, sulla tutela del paesaggio e delle tradizioni. E in questo la testardaggine del mondo dei vinti, ovvero quello dei piccoli contadini e dei montanari ritratto da Nuto Revelli, è servita per invertire la rotta, resistere allo spopolamento e trovare validi motivi di esistenza, senza dover aspettare i villeggianti estivi. Nel 1918, la popolazione ostanese contava 1.124 unità, si viveva di agricoltura, poi la guerra, il mito delle fabbriche e del benessere urbano portarono al lento spopolamento della Alta Valle Po. «Molti, una volta arrivati a Torino preferivano fare i rigattieri, i fèramiù, intorno a Borgo Dora, mio padre resistette in fabbrica solo due mesi», racconta Lombardo. Intanto, in montagna il borgo moriva ma fortunatamente non veniva toccato dalla speculazione edilizia che comprometteva altri paesi. A cavallo tra gli ’80 e ’90 la popolazione era precipitata a cinque abitanti. Sono gli anni in cui è ambientato il film in lingua occitana Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti, ispirato alla storia di un pastore fiammingo e della sua famiglia, in fuga dal gasdotto costruito nella sua valle, che provò a trovare rifugio qui. «Sono anche gli anni in cui parte il lento rilancio del borgo: migliorano le infrastrutture, viene potenziato l’acquedotto e incentivate le ristrutturazioni che rispettino lo stile architettonico montano. Immaginiamo un vero sviluppo sostenibile. Il bello porta così il bello».

Il 22 gennaio 2016 è nato Pablo, trent’anni dopo l’ultimo bambino nato a Ostana. I genitori Silvia Rovere e Josè Berdugo Vallelago erano arrivati sui monti della Valle Po nel 2011, dopo aver raccolto l’opportunità di gestire un nuovo rifugio – l’attuale Galaberna, salamandra in occitano – messa a bando dal Comune. «Prima lavoravo a Torino occupandomi di progetti internazionali di sanità pubblica e ambientale, ma volevo cambiare vita. Avevamo già in tasca un biglietto per l’isola di Reunion, dove avevamo trovato un impiego. La proposta che arrivò dalla Valle Po ci fece modificare i piani. Quando giungemmo in borgo, Clara aveva due anni e Alice quindici giorni, qualche valligiano ci diede pochi mesi di sopravvivenza, siamo qui da sette anni e non siamo pentiti».

Così piccola, così intatta, ma allo stesso tempo moderna nel suo paesaggio di pietra. Ostana, un meraviglioso balcone di fronte al Monviso, è un borgo laboratorio. Qui, la rivoluzione è stata «un balzo di tigre verso il passato», come scriveva Walter Benjamin, forte delle sue profonde radici occitane il comune cuneese ha provato a progettare la montagna del futuro. Non tutti i passaggi sono stati indolori. Quando l’amministrazione comunale ha scelto, per motivazioni fermamente umanitarie, di accogliere dei richiedenti asilo, una petizione di 173 firme (la stragrande maggioranza di persone che non vivevano a Ostana) si scagliò contro la decisione. Il 27 dicembre 2016 ci fu un’assemblea concitata, fuori c’erano i carabinieri. «È stata una prova dolorosa, ma con mio marito ci siamo detti che non potevamo tirarci indietro, d’altronde noi eravamo stati accolti, non potevamo non accogliere», racconta Silvia Rovere. L’amministrazione tirò dritto e due anni dopo il bilancio dell’esperienza è totalmente positivo. Ora sono sei i richiedenti asilo, tutti pakistani, ospitati a Ostana e sono parte integrante della comunità dove hanno imparato l’italiano e giornalmente lavorano, alcuni in Comune, per esempio per la manutenzione dei sentieri, (Ali, 20 anni, Shehbaz, 33, Kashif, 32), due all’agriturismo A nostro Mizoun – Rashid e la sorella Qurtulain – e uno di loro alla Galaberna, si chiama Umair, 32 anni: «Arrivo da Rawalpindi, dove lavoravo in un concessionario Toyota, ma lì la vita era insostenibile per le violenze in cui si incorreva; sono arrivato in Italia dopo un viaggio di sei mesi, passando per Turchia e Grecia. Qui, ho trovato la pace». Marilena, che tutti chiamano «la nonna», organizza periodicamente pranzi di comunità in cui si mescola cibo occitano e pachistano e canti di diverse lingue. «L’inserimento è stato graduale ma costante, non possiamo nemmeno comprendere quanto abbiano sofferto questi ragazzi e quale sia la situazione nel loro Paese», racconta Enrica Alberti, consigliera comunale che si occupa direttamente dei progetti che riguardano i migranti e quelli del futuro del borgo. Origine ligure, laurea in scienze e tecnologie alimentari, un lavoro in giro per l’Europa, anche lei è una nuova montanara, avendo deciso di trasferirsi a Ostana dopo un campo di Legambiente.
Qui, non distante dalle sorgenti del Po, è nato qualcosa di nuovo. Il sindaco Lombardo – che nel 2015 ha ricevuto il premio per la buona politica dedicato al sindaco pescatore Angelo Vassallo ucciso dalla camorra – lo sintetizza così: «Nello scambio umano e culturale tra vecchi abitanti, conoscitori del territorio, e nuovi, portatori di un sapere alto (spesso laureati), è nata una nuova società». Una realtà in movimento. Tra il 2009 e il 2014 c’è stato un investimento pubblico, grazie a bandi europei e regionali, pari a 4,6 milioni di euro; almeno 10 milioni di euro sono stati gli investimenti privati. Tra il 2013 e il 2015 è stata recuperata l’intera borgata Sant’Antonio-Miribrart.

Ostana è un borgo vivo, dove si può frequentare la scuola di cinema di Giorgio Diritti e Fredo Valla e, presto, il Monviso Institute, centro di ricerca universitario e laboratorio di sostenibilità; oppure visitare «Il bosco incantato», oasi didattica sensoriale. È un piccolo paese che ha preservato l’architettura montana fornendo opportunità produttive: «L’Orto di Ostana», l’azienda agricola di Serena Giraudo, neo-montanara con il marito Andrea, il negozio, aperto nel 2014 in contemporanea a un’ala del Comune, un rifugio, un agriturismo, una locanda. A questi si aggiungerà nel 2019 il panificio Quel Po di pan, con produzione e vendita in tutta la Valle, di Flavio Appendino, 32 anni, e Chiara Pautasso, 23 anni, due giovani che hanno deciso di trasferirsi in montagna. Nel 2015 sono stati, invece, inaugurati i locali del Centro Culturale Lou Pourtun e della Foresteria. Il centro è gestito dall’associazione Bouligar («diamoci da fare» in occitano) animato da alcuni giovani come Serena e Marita, educatrice che ha deciso di trasferirsi in montagna nella casa dei nonni.

A Ostana, parafrasando una delle possibilità che Revelli aveva prospettato ne Il mondo dei vinti, è stato salvato il salvabile prima che il genocidio della montagna si compisse. Non solo, è diventato il laboratorio di un mondo migliore. A misura d’uomo e natura.

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