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La Moldavia, neutrale eppure ostaggio della crisi, chiede più fondi all’Europa

La Moldavia, neutrale eppure ostaggio della crisi, chiede più fondi all’EuropaUna donna al confine tra Ucraina e Moldavia – Ap

La grande fuga Tensione al confine con l’esplosiva Transnistra

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 8 marzo 2022

Mentre la situazione sul campo rimane incerta, cresce l’inquietudine in Moldavia, per molti aspetti direttamente coinvolta nella crisi. Nei 12 giorni dall’inizio dell’invasione, più di 230 mila rifugiati hanno attraversato il confine, una massa che rappresenta almeno il 10% della popolazione residente nel paese.

Peggio, secondo Nicu Popescu, ministro degli Esteri e vice-premier del governo di Maia Sandu, la Moldavia sarebbe il prossimo obbiettivo militare di Putin dopo l’Ucraina.

Molti sono in effetti i paralleli fra i due paesi. In primo luogo, la Moldavia ha anch’essa a che fare, sin dal 1992, con un conflitto separatista per la regione della Transnistria. Le cause furono le stesse della guerra nel Donbass: terra di minoranze russofone, la Transnistria ha ricevuto il supporto interessato di Mosca contro un governo nazionalista che ne voleva obliterare la specificità. A differenza di Kiev però, Chishinau è riuscita ad instaurare un modus vivendi consensuale con i separatisti, garantito dalla presenza sul terreno di truppe russe. Questo ha finora eliminato la prospettiva della guerra nelle relazioni fra il centro e la sua provincia ribelle.

Intanto, buon allievo del «Consenso di Washington» e della sua appendice Ue, seguendo le ricette neoliberali dei suoi sponsor, la Moldavia è divenuto il paese più povero d’Europa. Così come presso le consorelle Ucraina e Georgia, il paese ha conosciuto una catastrofe demografica, con l’emigrazione di due milioni di cittadini. Da quando l’Ue ha avviato la sua politica di attrazione delle ex-periferie sovietiche (Politica europea di Vicinato, 2003, e poi Partenariato orientale, 2009), la debolezza economica e la presenza del conflitto irrisolto hanno intrappolato i moldavi in un meccanismo di emergenza latente, legittimante l’ingerenza occidentale in una «transizione senza fine». Il tutto ha reso vacua la sovranità nazionale, principio invocato dai fautori dell’espansione della Nato contro i suoi critici.

Nei fatti, così come l’Ucraina, la Moldavia dipende totalmente dalle forniture energetiche russe. Se Mosca dovesse estendersi sul Mar Nero fino al porto di Odessa e alla Transnistria, Chishinau perderebbe lo sbocco al mare e si troverebbe in una condizione di dipendenza ancora più accentuata. Il governo Sandu deve poi tenere conto della presenza di un’opposizione interna filo-russa abbastanza forte da creargli seri problemi di tenuta nel momento in cui decine di migliaia di rifugiati ucraini invadono le città moldave.

La scorsa settimana, il giovane Popescu ha imitato Zelensky, aggiungendosi a seguito della Georgia alla lista di paesi che hanno chiesto di essere ammessi nell’Unione europea con procedura d’urgenza. Popescu ha un cursus honorum atlantico di tutto rispetto. Prima di essere chiamato a dirigere gli Esteri dall’ex-funzionario della Banca Mondiale Sandu, sin dal 2005 ha lavorato per i principali think-tank che elaborano la politica di espansione UE nell’ex-Urss, in particolare l’European Council on Foreign Relations (Ecfr), struttura finanziata dall’Open society foundation di Soros a Londra.

Tuttavia, a differenza di Kiev e Tbilisi, Chishinau ha avuto l’accortezza di dichiararsi paese neutrale rimanendo fuori dalla corsa alla Nato. Dopo un azzardo quale l’invasione dell’Ucraina, l’estensione della guerra alla Moldavia sarebbe dunque un’assurdità per la strategia russa. Le dichiarazioni di Popescu vanno quindi piuttosto lette quali tentativi di accrescere il peso negoziale del paese e l’ammontare dei fondi che Chishinau riceve dai suoi sponsor a Bruxelles, ora più che mai vitali per evitare il collasso.

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