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La missione resta impossibile: vince Benítez e la destra si tiene il Paraguay

La missione resta impossibile: vince Benítez e la destra si tiene il ParaguayBenítez festeggia la sua vittoria elettorale – Afp

Elezioni presidenziali Alianza Ganar non ce l’ha fatta per un margine più stretto di quanto indicato dai sondaggi

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 24 aprile 2018

Sembra un’impresa impossibile, in Paraguay, seppellire l’eredità della dittatura di Alfredo Stroessner. Come sempre dal 1946 – con la sola parentesi (2008-2012) dell’ex vescovo Fernando Lugo liquidata con un golpe parlamentare – il popolo ha scelto, alle elezioni di domenica, il candidato del Partido Colorado Mario Abdo Benítez, figlio dell’omonimo braccio destro del dittatore.

NON CE L’HA FATTA dunque l’accoppiata tra Efraín Alegre e Leo Rubin, candidati alla presidenza e alla vicepresidenza per la Alianza Ganar, riproposizione di quella intesa tra Partido Liberal Radical Auténtico e Frente Guasú che, nel 2008, aveva portato Lugo alla vittoria. Non ce l’ha fatta, in realtà, per un margine molto più stretto di quanto indicassero i sondaggi, appena del 3,7%, la differenza più bassa dal ritorno del Paese alla democrazia nel 1989.

DELLA DIFFICOLTÀ di sconfiggere il potentissimo Partido Colorado era del resto ben consapevole Leo Rubin, giornalista noto per la sua difesa dell’ambiente e dei popoli indigeni, induista e vegetariano, il quale aveva giustificato proprio con l’entità di tale sfida il rilancio dell’alleanza spezzatasi con il colpo di Stato.

Confidando, peraltro, sulla bontà di un programma che, almeno sulla carta, aveva il merito di distinguersi in maniera netta dalle reazionarie politiche dei colorados. Ma non è bastato. La maggioranza degli elettori ha scelto la continuità con il governo di Horacio Cartes, lasciandosi sedurre dalla sostenuta crescita economica e chiudendo gli occhi di fronte alla disuguaglianza sociale che l’accompagna, così evidente ad Asunción, con i suoi eleganti quartieri ricchi affiancati da baraccopoli prive di servizi pubblici e periodicamente inondate dal Rio Paraguay. Una crescita al ritmo del 4% all’anno, dovuta in gran parte all’avanzata inarrestabile della soia e allo sviluppo altrettanto travolgente delle maquilas – rifugio a basso costo dei capitali brasiliani – ma anche viziata da un aumento esponenziale del debito estero, che Cartes lascia in eredità insieme a un sistema sanitario ed educativo quasi inesistente, alla crescita della disoccupazione, a una corruzione generalizzata che vede in prima linea la task force militare contro guerriglia e narcotraffico, ma in realtà dedita a contrabbando e a repressione dei contadini e delle organizzazioni popolari.

NON C’È DA SORPRENDERSI – allora – che in una regione tanto ricca di risorse naturali un terzo dei suoi abitanti viva in povertà, a cominciare da indigeni e contadini, espulsi da un modello agro-esportatore che ha già distrutto il 90% delle foreste del Paese. E, ancor prima, vittime dell’illegale distribuzione di terre, dette per questo malhabitas operata da Stroessner a favore di militari e alta borghesia, tra cui anche il padre di Mario Abdo Benítez: circa 8 milioni di ettari, pari a circa il 19% della superficie di tutto il Paese, secondo il rapporto della Commisione di Verità e Giustizia del Paraguay.

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