La minaccia dei coloni sulla raccolta delle olive
Palestina Aumentano gli attacchi ai contadini palestinesi, a proteggerli volontari israeliani e stranieri
Palestina Aumentano gli attacchi ai contadini palestinesi, a proteggerli volontari israeliani e stranieri
A rivendicare il diritto degli agricoltori di Qusra a raccogliere le olive sulle loro terre, ci saranno oggi, assieme a decine di attivisti, anche Ada Colau, ex sindaca di Barcellona, e due europarlamentari, lo spagnolo Jaume Asens e il belga Marc Botenga. L’esercito israeliano ha annunciato che vieterà alla popolazione l’accesso agli oliveti e agli altri campi coltivati adiacenti agli insediamenti coloniali, finché i volontari internazionali non usciranno dal villaggio. Eppure, gli olivicoltori non rinunciano e si sono organizzati per marciare in ogni caso verso le loro terre.
COME A QUSRA, a Um Safa (Ramallah) la raccolta delle olive è nella fase più intensa. Abed Qatami lavora da giorni. Per il suo e altre dozzine di villaggi in Cisgiordania, è un evento di eccezionale significato. «L’olivo non è solo il nostro sostentamento, è il simbolo delle radici e dell’attaccamento dei palestinesi alla terra. Si dice che alcuni alberi di Um Safa avrebbero 200 anni – spiega Qatami al manifesto – Tuttavia, da tempo l’appuntamento con la raccolta delle olive qui e in tutta la Cisgiordania è segnato da violenze. Il nostro problema sono i coloni (israeliani). Con il volto coperto scendono dalle loro case e tagliano i nostri olivi, li bruciano, spesso provano a impedire la raccolta, ci aggrediscono e l’esercito non fa nulla per fermarli».
L’olio è un tesoro inestimabile per la Palestina. Circa il 45% dei terreni agricoli cisgiordani è coperto da 10 milioni di ulivi, con un potenziale di 35mila tonnellate di olio. Oltre 100mila famiglie dipendono in una certa misura dalla raccolta delle olive. A maggior ragione dopo il 7 ottobre 2023 quando il governo Netanyahu, in seguito all’attacco di Hamas nel sud di Israele, ha revocato i permessi di lavoro a circa 150mila manovali palestinesi della Cisgiordania.
NON CI SONO ancora dati precisi, ma diverse migliaia di questi disoccupati sono ora agricoltori. «Neanche qui a casa nostra ci lasciano in pace – ci dice Mahmoud, per tre anni muratore specializzato nei cantieri in Israele e ora contadino – Ogni giorno devo fare attenzione ai raid dei coloni. I comitati dei vari villaggi, con l’aiuto di stranieri e israeliani, cercano di proteggerci durante la raccolta. Non basta, le aggressioni continuano».
Mahmoud si riferisce agli attivisti internazionali dell’Ism e Fazaa e di piccoli gruppi israeliani che partecipano alla raccolta delle olive nei villaggi più a rischio. I coloni, sapendo della presenza di cittadini israeliani e stranieri, si tengono a distanza, ma non sempre. L’israeliano Kobi Snitz, un ricercatore universitario che si proclama «antisionista», è uno dei volontari. «Cercare di proteggere i palestinesi minacciati mentre raccolgono i frutti della loro terra è il minimo che possiamo fare», afferma.
INTORNO A LUI decine di attivisti israeliani partecipano alla raccolta assieme ai contadini palestinesi. Su qualche olivo sono state issate bandiere palestinesi e gli abitanti di Um Safa intonano antichi canti. Una donna lancia in aria un vassoio di olive appena raccolte, un modo tradizionale di benedire il raccolto che quest’anno appare abbondante. Una famiglia palestinese da 500 olivi può ricavare fino a 80 barili di olio, che ai prezzi attuali significano oltre 20mila dollari, una somma che nei villaggi permette di sopravvivere dignitosamente per un anno.
Secondo fonti del ministero dell’agricoltura palestinese, dalla vendita dell’olio quest’anno, potenzialmente, si potranno ricavare 100-110 milioni di dollari. Ma il moltiplicarsi dei raid dei coloni rischia di rendere vane le speranze di molte famiglie in una situazione di grave crisi economica e di aumento al 30% della disoccupazione ufficiale in Cisgiordania, quella reale è molto più alta. «L’aggressività dei coloni è in forte aumento – aggiunge Kobi Snitz – L’anno scorso la raccolta delle olive è stata quasi impossibile in Cisgiordania, credo che sia stata fatta solo per un 20%». Quest’anno non è molto meglio. E l’esercito, denunciano palestinesi e attivisti, resta a guardare la prepotenza dei coloni. «L’affermazione secondo la quale i soldati sono qui per impedire le violenze è semplicemente falsa», conclude Snitz, aggiungendo che i coloni sono incoraggiati da alcuni ministri del governo Netanyahu che vogliono annettere la Cisgiordania palestinese.
L’ONU AFFERMA che centinaia di ulivi sono stati bruciati, danneggiati o rubati dai coloni dall’inizio della raccolta. Yesh Din, un gruppo per i diritti umani, ha registrato in due settimane diciotto casi di furto di olive e di interruzioni violente della raccolta.
Il Programma alimentare mondiale (Wfp) riferisce che 600mila palestinesi non hanno il cibo assicurato a causa della guerra, della crisi economica e della disoccupazione. L’Undp (Onu) avverte che l’economia palestinese è scesa del 35% rispetto a un anno fa. A causa soprattutto della distruzione a ogni livello di Gaza, ma i riflessi si fanno sentire forti anche in Cisgiordania. Alla fine del 2023 il tasso di povertà in tutti i Territori palestinesi occupati era del 38,8%, ma gli ulteriori 2,61 milioni di palestinesi che dopo un anno si ritrovano in una condizione di estrema precarietà hanno quasi raddoppiato il dato: 74,3%. Intanto chi in Cisgiordania non trova lavoro vende tutto ciò che può per sopravvivere.
«Mio marito non ha più un lavoro, prima abbiamo venduto l’auto, poi il divano e le poltrone, infine i pochi oggetti d’oro che mi avevano regalato per il matrimonio. E così hanno fatto tante altre famiglie per mangiare e pagare l’affitto», ci riferisce una Arin, una donna di Qalandiya. Qualcuno per sopravvivere non esita a rischiare la vita. Con 100 dollari ci si può procurare l’aiuto di persone che mettono a disposizione lunghe scale e corde per arrampicarsi sul Muro di separazione (lungo circa 700 chilometri e alto sette metri) che divide Cisgiordania e Israele, fatto costruire da Ariel Sharon durante la seconda Intifada.
SCAVALCARE quella barriera di cemento vuole dire trovare quasi certamente lavoro, senza permesso naturalmente. Decine di palestinesi ci provano ogni giorno, dall’altra parte però a riceverli trovano non poche volte gli spari delle forze di polizia e l’arresto come «terroristi».
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